Roma, 4 dicembre – Sono la prima causa di morte nel nostro Paese, responsabili di più del 30% dei decessi, e hanno un impatto economico, tra costi sanitari e perdita di produttività, di 20 miliardi di euro l’anno. Si parla, ovviamente, delle malattie cardiovascolari, ‘emergenza sanitaria e sociale che richiede per la quale bisogna approntare nuove ed efficaci misure di contrasto. Come ad esempio un piano nazionale in linea con il recente Piano strategico per la salute cardiovascolare adottato dalla Commissione europea.
A proporlo è Confindustria Dispositivi medici, insieme alle principali società scientifiche italiane di cardiologia – Società italiana di cardiologia interventistica (Gise), Itacare-P, Italian Federation of Cardiology (Ifc), Società italiana di cardiologia (Sic) e Società italiana di chirurgia vascolare ed endovascolare (Sicve) – che dal Forum Risk Management in sanità di Arezzo hanno appunto lanciato un Piano cardiovascolare per l’Italia con tre priorità: prevenzione e screening nazionali, integrazione ospedale-territorio, programmazione e allocazione delle risorse.
“Le patologie cardiovascolari sono una minaccia silenziosa, ma ampiamente prevedibile e prevenibile” afferma Paola Pirotta, presidente dell’associazione Assobiomedicali di Confindustria Dm (nella foto). “Per questo riteniamo che investire in prevenzione e in programmi strutturati di screening sia la strada maestra. La Manovra 2026, che rafforza proprio le politiche di prevenzione, rappresenta un’opportunità concreta per includere anche la salute cardiovascolare tra le priorità nazionali. L’industria dei dispositivi medici sostiene pertanto il Piano cardiovascolare con investimenti in tecnologie per la prevenzione e la continuità assistenziale. Il nostro impegno è offrire soluzioni sicure che migliorino la qualità delle cure e la sostenibilità del sistema, in collaborazione con istituzioni e comunità scientifica”.
“Il Piano cardiovascolare per l’Italia è un passaggio fondamentale per trasformare la strategia europea in azioni concrete e misurabili a beneficio dei cittadini” affermano i presidenti delle quattro società scientifiche già prima citate. “Con una spesa pro capite di 726 euro, superiore alla media europea di 636 euro, l’Italia affronta già oggi un peso significativo legato alle malattie cardiovascolari. Questo rende ancora più urgente orientare le risorse verso prevenzione, diagnosi precoce e continuità delle cure. Le società scientifiche sono pronte a contribuire, con competenze e dati, alla definizione di percorsi omogenei su tutto il territorio e all’adozione di tecnologie che possano davvero trasformare la presa in carico dei pazienti”.
In una nota diffusa da Confindustria Dm si legge che le aziende e le società scientifiche che hanno aderito al piano propongono “l’avvio di un programma nazionale di screening cardiovascolare per la prevenzione dei fattori di rischio – il 41% della popolazione tra 18 e 69 anni ne presenta almeno tre – che integri tecnologie digitali, dispositivi per il monitoraggio remoto e app di gestione personalizzata del rischio. Le Case di comunità, i medici di medicina generale e le farmacie dovrebbero diventare punti di screening e counseling diffuso, riducendo il divario tra ospedale e territorio”.
La nota ricorda quindi che i ricoveri ospedalieri per la gestione delle patologie cardiovascolari pesano per oltre 16 miliardi di euro l’anno e che un ricovero su quattro per scompenso cardiaco o fibrillazione atriale potrebbe essere prevenuto con una gestione più efficace sul territorio. L’assenza di un approccio multidisciplinare strutturato e il mancato utilizzo su larga scala di strumenti di telemedicina impediscono un’efficace presa in carico del paziente a lungo termine. La proposta contenuta nel Piano cardiovascolare per l’Italia punta quindi a creare percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (Pdta) nazionali per uniformare le cure, integrare telemedicina e tecnologie innovative, e rafforzare la continuità assistenziale post-ospedaliera.
Sul fronte della programmazione e allocazione delle risorse, il piano proposto suggerisce “una riorganizzazione dell’offerta sanitaria centrata sulla gestione integrata delle patologie e non solo sulle singole prestazioni”. Ma si chiede anche un aggiornamento del Piano nazionale esiti (Pne) in collaborazione con Agenas e le società scientifiche, per misurare gli outcome clinici, migliorare la qualità dei percorsi e rendere sostenibile l’adozione delle tecnologie innovative.


