Roma, 9 settembre – I dati resi noti dall’ultimo bollettino sulla diffusione di Covid 19 nel nostro Paese rilasciato dal Ministero della Salute (qui l’aggiornamento) non sono equivocabili: i casi registrati nella settimana dal 28 agosto al 3 settembre (2052, in numero assoluto, il numero più alto registrato nel 2025) sono una volta e mezzo quelli registrati nella settimana precedente dal 21 al 27 agosto (1391). Dati che trovano sponda nell’ultimo bollettino del”Ecdc, il Centro europeo per il controllo delle malattie, che nella settimana dal 23 al 29 agosto ha registrato in diversi Paesi un aumento degli indicatori di circolazione del virus. Per l’Ecdc la positività ai test per Sars CoV 2 è oggi superiore a quella di altri virus respiratori, fattore che potrebbe determinare un aumento dei ricoveri, in particolare tra anziani e persone vulnerabili. La ragione? Gli esperti europei ipotizzano che a seguito di un inverno caratterizzato da una bassa diffusione del virus, l’immunità della popolazione potrebbe essersi in parte ridotta.
Vista l’ormai imminente stagione autunnale con il suo consueto carico di patologie respiratorie, si tratta di dati e considerazioni da tenere nel dovuto conto. Appaiono invece
decisamente più opinabil le conclusioni di coloro che hanno voluto interpretare questa impennata dei contagi di Sars CoV 2 come un segnale prodromico di una nuova ondata pandemica. Ipotesi sulla quale ha già provveduto a gettare una secchiata d’acqua il virologo dell’Università Statale di Milano Fabrizio Pregliasco (nella foto), in un’intervista a fanpage.it.
Per l’esperto, l’aumento dei casi registrato dall’ultimo bollettino significa semplicemente quel che è ormai ben noto a tutti: il virus Covid non è scomparso, né dal nostro né da altri Paesi, è ormai presente con un andamento consolidato e va certamente monitorato con molta attenzione (come si sta facendo). Segue un suo schema, con ondate e picchi che non sono legati alla stagionalità tipica delle altre infezioni respiratorie ma alla comparsa e alla circolazione di nuove varianti. Quella attualmente prevalente è Stratus, uno degli ultimi virus della famiglia Omicron, meno severa rispetto ai primi virus, ma che in alcuni casi può portare a quadri gravi. Ma tutto questo va inserito in un quadro di nuove conoscenze, competenze e consapevolezza, anche come sistema, che devono bastare ad arginare ogni eccesso di allarmismo su una nuova pandemia Covid.
Il virus c’è e ci sarà, spiega ancora Pregliasco, e continuerà “a rialzare e abbassare la testa, sostenuto dalla diffusione di nuove varianti virali che circolano nella popolazione. Ma
parliamo di ondate di infezione che non sono come quelle degli inizi della pandemia, che hanno un impatto di sanità pubblica minore per numerosità e gravità dei casi, sebbene dalle 5-10 persone a settimana, in Italia, muoiano con il Covid”.
A proposito delle nuove varianti, il virologo precisa che si tratta di virus relativamente diversi dai precedenti: “Riescono in qualche modo a schivare il ricordo del nostro sistema immunitario. E rispetto ad altre malattie come il morbillo che, chi non è vaccinato, ha una volta sola nella vita, i virus del Covid cambiano abbastanza da riuscire ad eludere le nostre difese immunitarie”.
Ma se il virus è cambiato, puntualizza Pregliasco, “è cambiato anche il nostro sistema immunitario, perché abbiamo avuto quasi tutti infezioni o ci siamo vaccinati. La nostra storia immunitaria non ci protegge però completamente dalle nuove varianti, che appaiono diverse al nostro sistema immunitario, non le riconosciamo e causano le infezioni. Una loro maggiore circolazione, così come l’abbiamo vista in diversi Paesi durante l’estate, può portare a un aumento dei ricoveri ospedalieri, in particolare tra gli anziani e le persone vulnerabili, anche se attualmente gli indici ci dicono che i ricoveri e i decessi complessivi per Covid sono inferiori rispetto allo scorso anno”.
Ma resta in piedi la domanda delle domande: è il caso di preoccuparsi, per questi numeri al rialzo delle infezioni da Sars CoV 2? Pregliasco risponde affermando che ciò che sappiamo è che “il modo migliore per proteggerci dalle forme gravi è la vaccinazione, in particolare nei soggetti più a rischio, con richiami vaccinali mirati per le fasce più fragili, continuando a mantenere tutti quei comportamenti responsabili, soprattutto in ambienti chiusi o affollati”.
Si tratta delle stesse indicazioni fornite, praticamente in contemporanea, dagli Ecdc: non abbassare la guardia, mantenere la sorveglianza epidemiologica durante tutto l’anno e rafforzare le misure di prevenzione nelle strutture sanitarie, con l’uso delle mascherine in reparti ad alto rischio o nelle residenze per anziani.

Anche Giovanni Rezza (nella foto), già direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute e oggi professore di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, mette la sordina all’eccesso di timori: “Un po’ perché il virus è cambiato, un po’ perché il nostro sistema immunitario è più preparato, grazie ai vaccini o alle infezioni precedenti, il Covid oggi colpisce meno duramente” spiega Rezza, ricordando anche che Sars-CoV-2 rimane comunque un virus ‘giovane’. “Pertanto è capriccioso” spiega il professore “e non ha ancora una stagionalità assestata. Dà luogo a piccoli picchi ma in periodi imprevedibili”.
Non bastasse, il virus sembra essere per fortuna anche più docile, come dimostrano sempre i dati: nonostante l’alert degli Ecdc sul recente picco di contagi, infatti, i decessi restano inferiori rispetto allo stesso periodo del 2024.


