Roma, 14 ottobre – Uno studio condotto da una squadra di reumatologi dell’Irccs Istituto ortopedico Rizzoli (Ior) di Bologna, pubblicato sul numero di ottobre di Seminars in Arthritis and Rheumatism, dimostra che il vaccino anti-Covid “non aumenta il rischio di artrite infiammatoria”.
Queste le conclusioni della ricerca condotta dal team di ricercatori del Rizzoli guidato da e coordinato da Francesco Ursini, responsabile della Reumatologia dello Ior (nell’ordine nella foto) e composto da Ginevra Torrigiani, Pietro Ruscitti e Antonella Zamboni, che ha prodotto “dati rassicuranti sulla sicurezza dei vaccini contro Covid-19 in relazione al possibile rischio di sviluppare malattie articolari autoimmuni o infiammatorie, come l’artrite reumatoide o l’artrite psoriasica”.
La possibilità di indurre malattie autoimmuni è stata spesso temuta in relazione ai vaccini anti-Covid, sia per l’impiego di una tecnologia innovativa a mRna sia per la rapidità con cui sono stati sviluppati e autorizzati, ricordano dallo Ior. La ricerca condotta dalla Reumatologia dell’istituto bolognese, in collaborazione con il gruppo di Statistica medica dell’università di Milano-Bicocca, ha analizzato oltre 650mila segnalazioni raccolte nel sistema di farmacovigilanza statunitense Vaers (Vaccine adverse event reporting system). Lo studio ha valutato in particolare se casi di artrite fossero riportati con frequenza superiore dopo la vaccinazione anti Covid-19, rispetto ad altri vaccini comunemente utilizzati. I risultati mostrano che, a fronte di oltre 403 milioni di dosi anti-Covid somministrate, sono stati riportati circa 13,8 casi di artrite infiammatoria per 1 milione di dosi: “Una frequenza sovrapponibile a quella osservata con altri vaccini e in linea con il rischio comune di sviluppare malattie come artrite infiammatoria”.
“I nostri risultati rafforzano la fiducia nei vaccini anti Covid-19, confermandone il profilo di sicurezza anche rispetto a possibili eventi avversi di interesse reumatologico” afferma Ciaffi.
“Questi dati sono fondamentali per supportare un’informazione oggettiva e basata sull’evidenza scientifica” aggiunge Ursini. “Grazie a grandi database di farmacovigilanza come lo statunitense Vaers, abbiamo a disposizione preziosi dati che ci permettono di sviluppare una ricerca dal valore tangibile”.