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giovedì 6 Novembre 2025
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Manovra, auditi Istat e Cnel: “Sanità, stanziati più soldi ma resta sempre definanziata”

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Roma, 7 novembre – Diventa sempre più difficile, per il Governo, sostenere che i rilievi critici avanzati a più riprese e da più parti sulla sanità sono solo attacchi politici, o peggio ideologici, di chi nega l’evidenza dell’attenzione e dei finanziamenti, mai così alti, riservati da questo esecutivo al comparto sanitario.

Perché a suonare tutt’altra musica – decisamente meno trionfalistica e anzi su registri tra il tragico e il lugubre – non sono solo le solite agenzie indipendenti come Gimbe, ma anche istituzioni dello Stato come – da ultimo – il Cnel e l’Istat. Il  primo osserva infatti nella  memoria al Governo presentata nella sua audizione sul ddl di Bilancio per il 2026 di fronte alle Commissioni congiunte di Camera e Senato che, se è certamente vero che per la sanità in termini assoluti si spende di più (8 miliardi circa), è altrettanto vero che il rapporto rispetto al Pil segnala un definanziamento e “il quadro della sanità rimane critico e richiederebbe un impegno finanziario maggiore”. Detto, sempre dal Cnel, in altri termini,  “il fabbisogno aggiuntivo necessario a smaltire le liste di attesa, garantire i Lea, assumere nuovi professionisti, sostenere la digitalizzazione e investire in prevenzione e invecchiamento attivo non sembra garantito dalle risorse in manovra”.

Ma anche dall’audizione d fronte alle stesse Commissioni congiunte del presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli (nella foto) arrivano notizie molto confortanti: la sanità italiana spende di più, ma cura di meno. Tanto  che la spesa aumenta, ma parallelamente cresce anche il numero di persone costrette a rinunciare all’assistenza sanitaria, mentre per una quota sempre più ampia di cittadini accedere alle cure significa mettere la mano in tasca per tirar fuori il portafoglio, come riferisce un lancio di Borsa&Finanza sintetizzando l’audizione dell’Istat.

Spesa sanitaria in aumento, ma anche più                                                            soldi ai privati. E il sistema resta fragile

Nel 2024, osserva l’Istat, la spesa sanitaria complessiva ha raggiunto 185,1 miliardi di euro, di cui 137,5 miliardi coperti dal settore pubblico (74,3%) e 41,3 miliardi sostenuti direttamente dalle famiglie (22,3%). L’aumento complessivo del 3,3% rispetto all’anno precedente è stato trainato quasi interamente dalla componente pubblica, mentre la spesa privata ha segnato una lieve flessione (-2,5%). Nel medio periodo, però, la tendenza mostra un incremento della spesa intermediata da assicurazioni e fondi volontari (+7,9% medio annuo tra il 2019 e il 2024), segnale di un sistema che si privatizza silenziosamente. E che dunque dà corpo ai sospetti di chi teme che le scelte di politica sanitaria del governo perseguano un disegno neppure troppo sotterraneo di “sacrificare” quote di sanità pubblica in favore di quella privata.

Quasi 6 milioni di italiani rinuncia alle cure, fenomeno ormai trasversale

Le difficoltà di accesso alle cure si sono aggravate dopo la pandemia. Secondo l’Istat, nel 2024 il 9,9% degli italiani, ossia circa 5,8 milioni di persone, ha rinunciato a una visita o a un accertamento diagnostico per motivi economici, tempi troppo lunghi o distanza dalle strutture. Solo un anno prima erano 4,5 milioni. La principale causa è rappresentata dalle liste d’attesa, indicate dal 6,8% della popolazione. Le donne risultano le più penalizzate, soprattutto nella fascia 45-64 anni, mentre a livello geografico la quota di rinunce cresce ovunque, dal 6,9% dei residenti nel Nord, al 7,3% nel Centro e al 6,3% nel Mezzogiorno.

Secondo l’indagine Istat, la rinuncia alle cure non ha più un profilo di esclusione marginale, ma è un fenomeno trasversale, che riguarda lavoratori, anziani e famiglie con redditi medi.

Medici sempre più agées e infermieri in calo

L’altra grande criticità riguarda la struttura del personale sanitario. L’Italia è il Paese europeo con la quota più alta di medici over 55 (44,2%), e oltre uno su cinque supera i 65 anni. I medici di base, fondamentali per la tenuta del sistema, sono in calo: 37.983 nel 2023, il 60% dei quali ha più di 60 anni. Anche sul fronte infermieristico i numeri restano inferiori alla media europea: 405 mila operatori, pari a 6,9 per mille abitanti contro gli 8,3 dell’Ue. Il rapporto infermieri/medici è di 1,3, la metà della media Ocse. Una carenza strutturale che compromette la qualità e la tempestività dell’assistenza.

Le risorse per la sanità in manovra e il limite del 6% del Pil

Il disegno di legge di Bilancio 2026 destina alla sanità 7,7 miliardi di euro per il triennio 2026-2028. Considerando anche gli stanziamenti già previsti dalle precedenti manovre, il Fondo sanitario nazionale raggiungerà 143,1 miliardi nel 2026, 144,1 miliardi nel 2027 e 145 miliardi nel 2028.

Tuttavia, anche con questi stanziamenti, il rapporto tra spesa sanitaria pubblica e Pil resta fermo su valori inferiori alle medie europee. Per il 2024 la spesa pubblica per la sanità in Italia è stimata al 6,3 % del Pil, contro una media Ocse del 7%. In proiezione, secondo il quadro del Def, la quota destinata al fondo scenderà progressivamente fino al 5,93% entro il 2028.

Per quanto non esplicitato, il messaggio è chiarissimo: vero che l’Italia spende di più, ma cura anche relativamente meno. Il che significa che esiste ilrischio sempre più concreto che la sanità pubblica diventi nel tempo (neppure troppo) una sorta di ectoplasma: una parvenza che promette servizi e prestazioni che poi non dà perché non può dare. E la salute, inevitabilmente, se la potrà permettere solo chi ha sufficienti redditi per farlo.

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