Roma, 2 dicembre – Per sentire parlare di Hiv e Aids, ormai, bisogna aspettare la Giornata mondiale dedicata alla sindrome da immunodeficienza acquisita, che si celebra il 1° dicembre: quello che negli ultimi due decenni del secolo scorso è stato uno spauracchio globale senza cure, grazie ai progressi medici è passato nella percezione collettiva dal rango terrificante di paura globale a quello di malattia cronica gestibile. L’avanzamento delle terapie ha infatti ridotto la letalità del virus Hiv e spostato il focus della narrativa, e il racconto di un flagello incurabile e mortale, per i più oltranzisti assimilabile a una maledizione biblica, è diventato quello di un malattia che, debitamente curata, consente di vivere e non solo di sopravvivere.
Ha così finito per abbandonarci molto rapidamente e quasi completamente l’idea che “di Aids si muore”: una rimozione pericolosa, in realtà, soprattutto se si considera il rischio persistente di infezioni da Hiv e e la necessità di continua prevenzione. Terreni sui quali, non a caso, l’Europa sta fallendo: l’insufficienza e i ritardi dei test hanno fatto sì che nel 2024 più della metà di tutte le infezioni da Hiv rilevate sia stata diagnosticata troppo tardi per poter procedere a un trattamento ottimale, a causa di un sistema immunitario già compromesso (conta dei linfociti CD4 inferiore a 350 cellule per millimetro cubo).
Non desta meraviglia, dunque, l’allarme dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms e dell’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, che in un report denunciano “la crisi nascosta dell’Hiv in Europa” e lanciano un duro monito: “Questa grave carenza di test, unita al crescente numero di casi non diagnosticati, sta seriamente compromettendo l’obiettivo 2030 di porre fine all’Aids come minaccia per la salute pubblica”.
Secondo il rapporto ‘Sorveglianza Hiv/Aids in Europa 2025’, basato sui dati 2024, l’anno scorso “sono state effettuate 105.922 diagnosi di Hiv nella regione europea dell’Oms che comprende 53 Paesi tra Europa e Asia centrale. Sebbene i numeri complessivi mostrino un leggero calo rispetto al 2023, i dati disponibili suggeriscono che permangono lacune nei test e nelle diagnosi. L’elevata percentuale di diagnosi tardive implica che molte persone non accedono tempestivamente ai trattamenti antiretrovirali salvavita e all’assistenza sanitaria, il che aumenta il rischio di sviluppare Aids, il rischio di morte e la trasmissione dell’Hiv”. Nell’intera regione europea dell’Oms, nel 2024 “il 54% delle diagnosi è stato tardivo e la percentuale è più alta tra le persone infettate attraverso trasmissione eterosessuale (soprattutto uomini) e tra chi fa uso di droghe iniettive”. L’anno scorso “quasi una diagnosi di Hiv su tre ha riguardato persone nate fuori dal Paese in cui sono state diagnosticate”.
Zoomando sui 30 Paesi dell’Unione europea/Spazio economico europeo (Ue/See), prosegue il report, nel 2024 “sono state segnalate 24.164 diagnosi di Hiv, con un tasso di 5,3 casi ogni 100mila persone. I principali risultati 2024 mostrano che nell’Ue/See è tardivo il 48% delle diagnosi di Hiv. I rapporti sessuali tra uomini rimangono la modalità di trasmissione più comune nell’Ue/See (48%), ma le diagnosi attribuite alla trasmissione eterosessuale sono in aumento, rappresentando quasi il 46% delle diagnosi di Hiv segnalate”. Nell’Ue/See “i migranti rappresentavano oltre la metà delle nuove diagnosi, evidenziando la necessità di servizi di prevenzione e test personalizzati, accessibili e culturalmente competenti”.
“I nostri dati dipingono un quadro contrastante” dichiara Hans Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa (nella foto). “Dal 2020 i test Hiv in tutta la regione europea sono ripresi, con un conseguente aumento del volume di test segnalati e un corrispondente aumento delle diagnosi di Hiv in 11 Paesi nel 2024. Solo l’anno scorso a 105.922 persone è stata diagnosticato l’Hiv, con un totale di 2,68 milioni di diagnosi segnalate dagli anni ’80. Tuttavia, il numero di persone che convivono con l’Hiv non diagnosticato è in crescita: una crisi silenziosa che alimenta la trasmissione. Non stiamo facendo abbastanza” ammonisce Kluge “per rimuovere le barriere mortali dello stigma e della discriminazione che impediscono alle persone di cercare un semplice test”.
“Nell’Ue/See quasi la metà di tutte le diagnosi viene effettuata tardivamente” afferma
Pamela Rendi-Wagner, direttrice dell’Ecdc (nella foto). “Dobbiamo innovare urgentemente le nostre strategie di test, adottare test basati sulla comunità e autotest e garantire un rapido collegamento alle cure. Possiamo porre fine all’Aids” conclude la numero uno dell’agenzia “solo se le persone conoscono il loro stato di salute”.
In conclusione, Ecdc e Oms Europa chiedono “sforzi urgenti per rendere di routine, standardizzare e ampliare i test” per l’Hiv, “incluso un accesso più ampio all’autotest e alle opzioni basate sulla comunità, che possono raggiungere le persone che non accedono ai servizi sanitari in strutture sanitarie. L’obiettivo 2030 di porre fine all’Aids come minaccia per la salute pubblica si potrà raggiungere solo se la regione europea interviene subito per colmare il divario nei test”.


