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giovedì 4 Dicembre 2025
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Cittadinanzattiva: 1 italiano su 2 non segue le terapie, servono interventi di sistema e tempo

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Roma, 4 dicembre – Solo la metà dei cittadini, in cura per una o più patologie, segue le terapie in modo costante e appropriato. L’altra metà si divide fra chi, in maniera preponderante, le salta raramente (35,6%) e chi occasionalmente (11,5%). Un residuo 1,5% non le segue con alcuna costanza. I pazienti non aderenti appartengono in prevalenza alla fascia delle persone fragili e anziane, con basso livello socio-culturale, spesso sole o comunque con scarso supporto familiare. E a pesare sulla non aderenza contribuisce molto anche la comorbidità, ossia la presenza di due o più patologie.

Sono alcuni dei risultati emersi dall’Indagine civica sull’aderenza terapeutica: un piano d’azione comune, presentata il 2 dicembre da Cittadinanzattiva e che ha coinvolto target eterogenei, rappresentati da un totale di 547 fra pazienti e presidenti di associazioni di pazienti e da ben 2228 professionisti sanitari, tra i quali 1590 farmacisti di comunità e 205 Farmacisti ospedalieri.

L’aderenza terapeutica è un fenomeno complesso e multifattoriale e, in quanto tale, necessita di interventi personalizzati e allo stesso tempo strutturali per garantire l’efficacia delle cure e quindi la qualità di vita dei pazienti. Interventi che consentirebbero di contenere le spese economiche derivanti dalla scarsa aderenza alle terapie, stimate in circa 2 miliardi di euro l’anno per il Servizio sanitario nazionale” ha detto Anna Lisa Mandorino (nella foto), segretaria generale di Cittadinanzattiva. “Quanto e come il cittadino segua con costanza le terapie, siano esse farmacologiche e non, è condizionato da numerosi fattori, dicarattere anagrafico, sociale, economico, di stili di vita, e dunque – accanto ad interventi di sistema finalizzati a integrare un modello di rete coordinato, di prossimità, supportato da strumenti digitali e capacità organizzativa – occorre puntare molto sul tempo che i professionisti possono dedicare al paziente e ai suoi caregiver”.

Chi sono e cosa dicono i pazienti non aderenti

Fra i cittadini che hanno risposto al questionario, riporta una nota pubblicata da Cittadinanzattiva, oltre la metà è affetta da patologie di tipo metabolico, da patologie reumatologiche (39,1%) e cardiovascolari (29,1%). Si tratta di ambiti che, per natura, richiedono trattamenti continuativi e spesso complessi, con un impatto rilevante sulla gestione quotidiana della terapia, soprattutto per chi convive con più patologie, un target che, all’interno del campione di riferimento, è rappresentato dai due terzi dei cittadini.

La quota più ampia di pazienti intervistati (38%) interpreta l’aderenza come rispetto puntuale delle indicazioni mediche, il 18% come un fattore di consapevolezza e responsabilità personale, mentre il 15% come conseguenza diretta della relazione medico-paziente, basata su dialogo, fiducia, confronto e collaborazione.

Fra le motivazioni che portano a non seguire la terapia prevalgono, a detta dei pazienti, aspetti psicologici e percettivi: il (28,3%) soffre la sensazione di dipendenza dal farmaco, mentre la pigrizia o mancanza di motivazione (20,8%) e la percezione di non essere in pericolo reale (20,2%) contribuiscono a una riduzione dell’aderenza.

Interessante il profilo dei pazienti “non aderenti” fornito dai presidenti delle associazioni: quasi il 73% di questi ultimi afferma che sono maggiormente a rischio le persone fragili e anziane, quelle con basso livello socio-culturale (58,3%), chi vive in condizione di solitudine e di scarso supporto familiare (54,2%), a conferma del ruolo cruciale della rete sociale nel sostenere la gestione quotidiana della terapia. Rilevante anche la quota (45,8%) di chi sostiene che i pazienti con comorbidità siano quelli più a rischio.

Anche i professionisti intervistati confermano in gran parte le caratteristiche del paziente a maggior rischio di non aderenza: con percentuali superiori al 70%, lo individuano nelle persone sole o anziane, poco meno (con percentuali intorno al 65%) in soggetti con basso livello socio-culturale. La presenza di due o più patologie risulta essere un fattore importante ma meno rilevante degli altri rispetto al rischio di non seguire correttamente le terapie: ad indicarla è circa un terzo del campione dei medici di medicina generale e degli infermieri, oltre la metà dei farmacisti ospedalieri e degli specialisti.

Aderenza terapeutica, il problema più sentito è la mancanza di dialogo

Fra le priorità indicate dai presidenti delle associazioni, emerge sicuramente il rafforzamento della comunicazione medico-paziente (22%), il coinvolgimento strutturato delle associazioni nei percorsi assistenziali (18%), la necessità di educazione terapeutica e informazione capillare (16%), il bisogno di formazione e supporto ai caregiver e ai volontari (12%), riconosciuti come attori centrali nei percorsi di aderenza.

Anche i cittadini, al fine di migliorare l’aderenza terapeutica, chiedono prima di tutto più dialogo con il medico curante (36,1%) e un maggiore supporto pratico, sia digitale sia analogico (35,6%). Un altro quarto dei rispondenti manifesta il bisogno di confronto con altri pazienti (26,1%) e di un maggiore coinvolgimento di altri professionisti sanitari — infermieri, farmacisti, operatori di prossimità (25,2%), vedere miglioramenti tangibili (24,9%). Il bisogno di un supporto motivazionale è indicato dal 19,9%.

I pazienti chiedono dunque un supporto personalizzato, che combini una relazione più stretta e continua con il medico con strumenti concreti per la gestione quotidiana e un accompagnamento motivazionale e relazionale non necessariamente clinico.

In linea con quanto richiesto da cittadini ed associazioni è il dato, fornito dai vari professionisti sanitari, relativo alla mancanza di tempo dedicato al dialogo che emerge come critico nella scarsa aderenza terapeutica: a dirlo è oltre la metà degli infermieri (53,2%), quasi la metà dei medici di medicina generale (45,9%) e dei farmacisti ospedalieri (48,5%), oltre un terzo (35,3%) dei medici specialisti. Colpisce in positivo il dato dei farmacisti di comunità che, al contrario, solo in un caso su cinque (21%) dichiarano di aver poco tempo per il dialogo.

Interazione tra figure professionali, formazione, digitalizzazione,                    mancanza di protocolli strutturali: queste le criticità da risolvere

Sicuramente carente, dal punto di vista dei professionisti, l’interazione con gli altri colleghi: a dirlo in particolare è oltre il 75% dei Mmg, il 65% dei farmacisti di comunità, il 63% degli infermieri.

La scarsa formazione dei professionisti sul tema dell’aderenza terapeutica risulta essere un elemento particolarmente condiviso tra gli infermieri (che lo indicano come tale nel 63%) e fra i mmg (in oltre un caso su due).

Molto da fare anche in termini di digitalizzazione. Il ricorso a strumenti digitali per monitorare l’aderenza terapeutica risulta più diffuso fra i mmg (58,1%) e fra i farmacisti ospedalieri (42,6%) del campione. È invece ancora molto limitato tra gli specialisti – che in oltre l’88% dei casi dichiarano di effettuare il monitoraggio in larga parte attraverso strumenti tradizionali come i colloqui di follow-up – e fra gli infermieri – che li utilizzano in meno di un terzo dei casi – e fra i farmacisti di comunità che appena in un caso su quattro affermano di disporre di strumenti informatizzati per monitorare l’aderenza terapeutica.

Idem per la scarsità di protocolli strutturati finalizzati a questo: afferma di non disporne il 54% dei mmg, il 63% degli infermieri e dei farmacisti ospedalieri, il 76,3% degli specialisti e dei farmacisti di comunità.

Il piano di azione di Cittadinanzattiva per l’aderenza

Il piano di azione proposto da Cittadinanzattiva e dal tavolo di lavoro per migliorare l’aderenza terapeutica individua interventi in quattro ambiti:

  1. Intervento di governance: aderenza terapeutica come indicatore Lea
    Garantire l’effettiva identificazione di un indicatore specifico per misurare l’aderenza terapeutica dei pazienti, con un’attenzione particolare alla riduzione delle disparità socio-demografiche e territoriali.
  2. Intervento strutturale: interoperabilità e governance digitale
    Da realizzare attraverso il pieno funzionamento e l’integrazione del FSE e promuovendo la co-progettazione e l’adozione di sistemi di alert e reminder (per il paziente e il professionista) integrati nei gestionali clinici, che segnalino il mancato ritiro del farmaco o la scadenza del Piano Terapeutico.
  3. Intervento organizzativo: rete multiprofessionale e prossimità
    Prevedere un “modello di rete coordinato”, attraverso: l’adozione di protocolli condivisi che definiscano in modo chiaro i canali di comunicazione e feedback reciproco tra ospedale e territorio per la gestione delle terapie croniche; l’attuazione della Farmacia dei Servizi e il rafforzamento del ruolo dell’Infermiere di Famiglia e Comunità; la riduzione del carico amministrativo e burocratico.
  4. Intervento relazionale: tempo di qualità e sensibilità sociale
    Riconoscere il tempo per il dialogo approfondito e l’educazione terapeutica come un atto di cura fondamentale; prevedere percorsi di formazione interprofessionale continua che si concentri sulle competenze comunicative, sul counseling motivazionale; realizzare interventi che tengano conto dei determinanti sociali e delle differenze di genere nella percezione degli ostacoli e nella individuazione di soluzioni personalizzate. Fondamentale il potenziamento del ruolo degli assistenti sociali e degli infermieri di famiglia/comunità nel team di cura, con protocolli strutturati di collaborazione con i mmg e gli specialisti, per intercettare attivamente i pazienti a rischio (persone sole, fragili/anziane, con disagio socio-economico) e il coinvolgimento delle associazioni di pazienti e organizzazioni civiche nel percorso di cura.

Il report integrale e l’abstract dell’indagine civica sull’aderenza terapeutica, realizzata da Cittadinanzattiva con il supporto non condizionato di Daiichi Sankyo, è disponibile a questo link.

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