Roma, 9 settembre – “Non sempre liberalizzare è un bene di per sé. Vi sono settori, come quello della salute, che necessitano di una riflessione più approfondita. Prima di smantellare l’attuale organizzazione delle farmacie che, ricordiamo, rappresentano il primo presidio del Servizio sanitario nazionale sul territorio, dobbiamo aver bene chiaro in mente quale modello di distribuzione del farmaco vogliamo avere in Italia. Siamo sicuri che, con l’ingresso dei grandi capitali nel settore e con la contestuale apertura alla libera vendita dei farmaci di fascia C, continueremo ad aver garantita la presenza di una farmacia in ogni parte del Paese, soprattutto in quei luoghi meno redditizi dal punto di vista prettamente economico? Già oggi, tra l’altro, siamo passati a un parametro di una farmacia ogni 3300 abitanti, rispetto ai 4000 del passato. Entro breve tempo in Italia avremo quasi 21mila farmacie in tutto il territorio nazionale. Poco meno della Germania, dove però risiedono circa 80 milioni di abitanti e molte di più dell’Inghilterra dove si contano 14 mila farmacie”.
Also spracht Federico Gelli, responsabile nazionale per la sanità del Pd, commentando la richiesta di introdurre nel ddl Concorrenza la liberalizzazione dei farmaci di tutti i farmaci di fascia C avanzata ieri dai farmacisti delle parafarmacie, nel corso del presidio (in verità piuttosto sparuto) organizzato ieri davanti a Montecitorio insieme agli avvocati della Mga (Mobilitazione generale avvocati) in occasione del No Casta Day.
“In troppi non si soffermano a riflettere sul possibile impatto economico di queste scelte” ha detto ancora Gelli. “Le oltre 18mila farmacie attuali rappresentano quella piccola imprenditoria da sempre raffigurata, dai politici di ogni schieramento, come la spina dorsale dell’economia di questo Paese. La contestuale apertura alle grandi catene di distribuzione e alla liberalizzazione della fascia C potrebbe risultare un mix letale per quei piccoli imprenditori che garantiscono al cittadino, ogni giorno, un servizio di qualità garantito e regolato da una convenzione pubblica. “
“Infine, una decisione di questo genere rischierebbe di aprire una breccia potenzialmente pericolosa” ha affermato l’esponente del Pd, riproponendo pressoché negli stessi termini la prima delle argomentazioni che Federfarma, facendo riferimento anche ad alcune ben note sentenze della Corte di giustizia europea e della nostra Consulta, oppone da sempre all’ipotesi della fuoriuscita della ricetta dalla farmacia.
“In tutti i Paesi del mondo i medicinali con ricetta sono venduti solo in farmacia per motivi sanitari e per la sicurezza del paziente” ha concluso Gelli. “Se dovessimo aprire alla libera vendita di questi farmaci, siamo sicuri che domani non si vorrà utilizzare questa decisione come un grimaldello per estendere il discorso anche alle “ricette rosse”? Insomma, non si tratta di una questione meramente economica, ne va della sicurezza dei cittadini.”
Non mancherà certamente chi vorrà ridurre ai suoi significati ultimi (o primi, se si preferisce), la linea di Gelli: a offrire garanzie ai cittadini e al sistema sanitario nazionale è in primo luogo la farmacia intesa come presidio di salute, mentre il ruolo del farmacista ha evidentemente valore e significati diversi in relazione al luogo in cui viene esercitato. Non bisogna essere degli allibratori professionisti, per scommettere sul fatto che, con le sue dichiarazioni, il deputato Pd si è candidato a diventare il primo bersaglio – insieme al suo partito – di chi, a torto o a ragione, la pensa in modo diametralmente opposto, nella convinzione che il primo e più rilevante fattore di garanzia sia invece la funzione professionale del farmacista, non il posto dove lavora.