
Riforma costituzionale, arriva il sì del Senato. Ecco cosa cambia
Roma, 14 ottobre – Come già ampiamente riferito da tutti gli organi di informazione, l’Aula del Senato ha dato ieri il via libera al ddl delle riforme costituzionali “firmato” dalla ministra Maria Elena Boschi.
L’approvazione di Palazzo Madama è arrivata con 179 sì, 16 voti contrari e 7 astenuti, e in assenza dei senatori di Lega, M5S e di gran parte di quelli di Forza Italia, che hanno lasciato l’Aula al momento del voto. Il testo ora passa alla Camera per la quarta lettura.
Il contenuto più “mediatizzato” della riforma è sicuramente la trasformazione del Senato, che diventa “un’altra cosa”. Intanto, viene ridotto il numero dei senatori, che passa da 315 a 100. 74 saranno consiglieri regionali, 21 sindaci e cinque senatori nominati dal capo dello Stato per 7 anni (e non più a vita, dunque).
Il nuovo Senato non avrà più il potere di dare o togliere la fiducia al governo, che sarà prerogativa unica della Camera. Avrà però la possibilità di esprimere proposte di modifica anche su leggi che esulano dalle sue competenze. Si tratta (è bene sottolinearlo) di una semplice facoltà. Per esercitarla, servirà la richiesta di almeno un terzo dei componenti del Senato. Ma non è l’unico paletto: i senatori avranno soltanto 30 giorni per consegnare i loro emendamenti, dopo i quali la legge tornerà alla Camera, che avrà a sua volta 20 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno i suggerimenti.
Più articolata la situazione per quanto riguarda le leggi che riguardano i poteri delle Regioni e degli enti locali, sui quali il Senato conserva maggiori poteri. In questo caso, per respingere le modifiche la Camera dovrà esprimersi con la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Il Senato potrà votare anche la Legge di bilancio: le proposte di modifica vanno consegnate entro 15 giorni e comunque l’ultima parola spetta alla Camera.
La modifica del Titolo V
La materia di maggiore interesse per la professione farmaceutica e la sanità in genere è però un’altra, alla quale la stampa di informazione ha dedicato decisamente meno attenzione, ovvero la modifica del Titolo V e – quindi – dell’equilibrio di poteri e competenze tra Stato e Regioni.
L’attuale struttura delle Regioni – ancora in vigore – deriva da una serie di riforme del Titolo V cominciate negli anni Settanta e terminata con la riforma del 2001, approvata come si ricorderà con una maggioranza di centrosinistra e poi confermata dalla maggioranza dei cittadini con un referendum.
Lo scopo delle precedenti riforme – come ricorda opportunamente un’ampia scheda realizzata dall’agenzia Public Policy – era quello di dare allo Stato una fisionomia più ”federalista”, nella quale i centri di spesa e di decisione si sarebbero spostati dai livelli più alti, lo Stato centrale, a quelli più locali, le Regioni.
La riforma, oltre al superamento del bicameralismo perfetto, interviene anche su questa materia, prevedendo invece di riportando allo Stato gran parte delle competenze. Su proposta del governo, quindi, la Camera potrà approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Cancellata la legislazione concorrente
L’articolo 30 del ddl cancella la legislazione concorrente tra Stato e Regioni. L’articolo 117 della Costituzione riguarda appunto la potestà legislativa delle Regioni, alle quali rimarrà il potere di legiferare su “pianificazione del territorio regionale, mobilità al suo interno, dotazione infrastrutturale, programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito dei servizi alle imprese e in materia di servizi scolastici, istruzione, promozione del diritto allo studio, anche universitario”.
Spetterà invece allo Stato la competenza sulla tutela del lavoro, sulle politiche attive e sulla sicurezza alimentare sul coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. E ancora: spetteranno allo Stato, oltre la competenza sui mercati finanziari anche quella sui mercati assicurativi.
Fra le altre materie resteranno inoltre alla competenza esclusiva dello Stato la produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell”energia e le infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e navigazione d”interesse nazionale e porti e aeroporti di interesse nazionale e internazionale.
Con un emendamento del Pd, a firma Francesco Russo, riformulato dal governo (nonostante a qualche esponente della maggiornaza la correzione sia andata decisamente di traverso), viene anche ampliata la possibilità di devoluzione di poteri dallo Stato alle Regioni. Di fatto, viene rafforzato il cosiddetto federalismo differenziato: le Regioni più virtuose (quelle che hanno i conti in ordine) avranno più possibilità di devoluzione di poteri dalla Stato (politiche attive del lavoro, istruzione e formazione professionale, commercio con l”estero, giustizia di pace, disposizioni generali e comuni per le politiche sociali).
Al livello centrale, nel passaggio del ddl alla Camera, è stata affidata la competenza esclusiva sulle “politiche sociali”; quella in materia di tutela, sicurezza e politiche attive del lavoro, tutela alimentare e promozione della concorrenza.
La riforma prevede anche un tetto massimo agli stipendi degli amministratori regionali: non potranno superare quelli dei sindaci del comune capoluogo. Il Senato dovrà esprimersi obbligatoriamente sullo scioglimento dei consigli regionali.
Clausola di salvaguardia
e de profundis per province e Cnel
Con l”articolo 31 della Riforma arriva poi un importante “ritocco” all’impianto “federalista”: viene infatti prevista una specifica “clausola di salvaguardia” a tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o dell”interesse nazionale. Quindi lo Stato potrà – con l”esercizio della clausola – occuparsi delle competenze in capo alle Regioni.
L’articolo 33 del ddl modifica l’articolo 119 della Costituzione sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali: comuni, città metropolitane e regioni avranno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell”equilibrio dei relativi bilanci, e concorreranno ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall”ordinamento dell’Unione europea.
Sarà una legge dello Stato a definire “gli indicatori” di riferimento “di costo e fabbisogno che promuovo condizioni di efficienza nell”esercizio delle medesime funzioni”.
Il Cnel, il Consiglio nazionale dell”economia e del lavoro, sarà soppresso, così come la menzione delle province dalla Costituzione, in raccordo con la già approvata legge Delrio che ne disponeva l’abolizione.
