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mercoledì 18 Giugno 2025
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Studio Usa su antitumorali in fiale: il 10% di farmaco va sprecato

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Roma, 16 marzo – Salvano la vita e dunque hanno by definition un valore inestimabile. Ma hanno anche, per conseguenza, prezzi altissimi, quando non addirittura proibitivi. Eppure ogni giorno ne vanno sprecati circa un decimo, con costi esorbitanti per i servizi sanitari.

Parliamo dei farmaci antitumorali, oggetto di uno studio pubblicato a inizio di marzo dal British Medical Journal con la prima firma di Peter B. Bach, professor director del Center for Health Policy and Outcomes dello Sloan Kettering Cancer Center di New York, che si è appunto preoccupato di indagare quanti residui di farmaci equivalenti a centinaia o migliaia di euro finiscano nel cestino in ragione del fatto che la dose da somministrare al singolo paziente è inferiore al contenuto di una singola fiala. E ha cercato anche di capire – in nome della indispensabile necessità di risparmiare per rendere sostenibili i sistemi sanitari – se e come gli “avanzi” inutilizzati possano essere riutilizzati per non andare sprecati.

Nello studio pubblicato sul BMJ, dopo aver analizzato i dati relativi ai 20 farmaci anticancro più utilizzati negli Usa (somministrati in base al peso corporeo del paziente e impacchettati in fiale), i ricercatori hanno stimato gli “avanzi” che, a seconda del tipo di medicinale, variano tra l’1 e il 33 per cento.

In denaro, se si calcola che la spesa complessiva prevista negli Usa nel 2016 per i 20 farmaci è pari 18 miliardi di dollari (circa 16 miliardi di euro), la quantità di denaro sprecata nei resti inutilizzati è pari in media al 10 per cento del totale, vale a dire 1,6 miliardi di euro.

Lo studio propone diverse possibili soluzioni al problema, chiamando in causa le aziende farmaceutiche: secondo gli autori, infatti, queste potrebbero fare molto per bilanciare i dosaggi delle confezioni dei medicinali, in modo da minimizzare gli scarti, oppure per realizzare fiale di diverse misure, così che gli oncologi possano aprire e utilizzare quella più adeguata alle necessità del paziente che hanno di fronte, a seconda delle sue esigenze e della sua “taglia”.

Ma, osserva lo studio di BMJ, serve anche un intervento delle istituzioni regolatorie e vanno poi messe a punto a opzioni praticabili nella pratica clinica quotidiana.

La questione, ovviamente, interessa anche il nostro Paese, che nel 2014 ha speso per i medicinali oncologici ospedalieri 3,899 milioni di euro (nello stesso anno il costo dei farmaci anti-cancro ha raggiunto a livello mondiale la cifra record di cento miliardi di dollari) .

“Le fiale hanno contenuti standard – ha spiegato ieri al Corriere della Sera Maurizio Tomirotti, direttore dell’Oncologia medica all’Ospedale Ca’ Granda di Milano – basati su un quantitativo medio ‘ragionevole’. Il problema nasce dal fatto che la dose viene personalizzata sul singolo paziente in base al suo peso corporeo o al rapporto fra chili e altezza. Raramente, in pratica, la quantità di medicinale necessaria equivale precisamente al contenuto della fiala, che una volta aperta non può essere conservata. Si finisce così per buttare ogni volta costosissimi quantitativi di liquidi, che per di più si trasformano in rifiuti tossici da smaltire.

Ma qualche “rimedio” per ridurre il peso del problema è comunque possibile: “In Italia si sta ad esempio diffondendo quello che chiamiamo il drug day” spiega ancora Tomirotti, che è anche presidente del Cipomo, il Collegio italiano dei primari oncologi ospedalieri, sigla che ormai da anni ha sottoscritto un manifesto per la Green Oncology per un’oncologia più sostenibile. “In pratica, soprattutto quando si devono somministrare farmaci innovativi dai prezzi elevati, concentriamo i pazienti che devono essere curati con lo stesso medicinale nello stesso giorno, in modo tale da poter utilizzare i contenuti delle fiale che apriamo su un numero di persone, riducendo così gli avanzi il più possibile.”

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