Farmaci veterinari a carissimo prezzo, un nodo che non si riesce a sciogliere

Farmaci veterinari a carissimo prezzo, un nodo che non si riesce a sciogliere

Roma, 16 ottobre – Nuova denuncia sul caro-farmaci per gli animali, problema che – a intervalli ricorrenti – torna all’attenzione delle cronache giornalistiche senza che, peraltro, nulla accada.
A far tornare la questione d’attualità (il nostro giornale se ne era occupato già all’inizio di quest’anno, cfr. il Mattinale del 12 gennaio 2015), è stato ieri un articolo del quotidiano la Repubblica, “strillato” in prima pagina (disponibile on line a questo link).
Facendo riferimento alla lettera aperta inviata da duecento veterinari al ministero della  Salute e alle aziende dell’Aisa (l’associazione che, sotto l’ombrello di Federchimica e Confindustria, riunisce 21 imprese italiane e multinazionali che si occupano di salute animale), il quotidiano romano torna su quello che è il nocciolo del problema: a termini di legge, i veterinari debbono prescrivere ai loro clienti bisognosi di farmaci per curare i loro animali solo prodotti dedicati, salvo, in rare eccezioni, farmaci per uso umano, laddove non esista l’omologo per gli animali.
Il problema è che le molecole per uso veterinario, anche se in tutto e per tutto uguali a quelle utilizzate per gli uomini, costano molto di più: fino a 90 volte, come nel caso limite del ketoprofene, passando per il costo moltiplicato per 20 del Meloxicam per uso veterinario e per quello superiore di tre o cinque volte degli oppioidi, fondamentali per il controllo del dolore chirurgico.
“Non chiediamo, in un momento tanto difficile, che i farmaci per cani e gatti vengano passati dalla mutua, ma una politica dei prezzi equa e controllata è un obbligo morale” dice a la Repubblica, il medico veterinario Oscar Grazioli, esperto di anestesia e terapia del dolore, tra i primi a sollevare la necessità di un cambiamento di registro all’interno del forum professionale Discussioni Veterinarie..
Il prezzo molto spesso insostenibile dei farmaci veterinari rischia infatti di produrre (in tempi di crisi) una spirale perversa, con conseguenze che possono essere drammatiche non solo per gli animali, che non vengon curati per il costo eccessivo delle medicine, ma dei loro stessi padroni. Per anziani e pensionati, i loro animali d’affezione sono infatti molto spesso un’insostituibile rimedio alla solitudine, e non ci vuole davvero molto a immaginare come possano sentirsi quando per loro diventa  quasi impossibile provvedere alle cure del loro cane o del loro gatto, soprattutto se sofferente di una qualche patologia che richiede l’impiego di più di un prodotto.
“Quasi tutti i farmaci iniettabili per uso veterinario, poi, anziché nelle comode fiale monouso umane vengono commercializzati in flaconi multi dose. Possono avere una scadenza di anni, che diventa di appena 28 giorni dal momento dell’apertura” aggiunge Grazioli a la Repubblica.  “Così, anche se si usa una sola dose, inizia il conto alla rovescia per gettare l’intera confezione, e, in assenza di qualsiasi organo di controllo governativo o amministrativo sui prezzi dei farmaci, la logica del business fa il bello e il cattivo tempo.”
Della questione, qualche settimana fa, si era dovuto occupare anche il ministero della Salute, con un comunicato consultabile in questa pagina del sito del dicastero.
Ricordando preliminarmente che la normativa sulla produzione e distribuzione dei medicinali veterinari è una materia armonizzata a livello europeo, il dicastero – che ammette di essere stato a più riprese interrogato sulla possibilità di applicare al settore veterinario le stesse regole che disciplinano il farmaco umano – aveva risposto che “le dinamiche che inquadrano l’immissione in commercio e la determinazione del prezzo dei medicinali umani sono molto diverse da quelle del settore veterinario ed è difficile, se non impossibile, operare un parallelismo tra i due ambiti.”
Alla domanda su quali azioni possono essere messe  in campo per agevolare il contenimento della spesa, il comunicato del ministero risponde affermando che ”rendere più dinamico il mercato del farmaco veterinario, da un lato e promuovere un impiego sempre più razionale e consapevole, dall’altro, potrebbe contribuire indirettamente a raggiungere l’obiettivo.”
Non molto, insomma, soprattutto a fronte di una situazione che produce i risultati denunciati dal Grazioli a la Repubblica. Situazione di fronte alla quale, in pratica, il ministero alza le mani: “Sul prezzo del medicinale veterinario, regolato dal mercato, incidono aspetti produttivi, commerciali e distributivi che rivestono un ruolo rilevante nella sua definizione” si legge nella nota  del ministero del 21 settembre scorso. “Occorre infatti che ogni principio attivo sia studiato sulla specie animale a cui è destinato, con indicazioni e posologie accuratamente sperimentate per ognuna di esse, tenuto conto dei diversi metabolismi e di conseguenza, della differente farmacodinamica e farmacocinetica.… Tutto questo, come è facile capire, ha una rilevanza enorme sul prezzo finale.”
Non si può dire che si tratti di una giustificazione del caro-prezzi dei farmaci per gli animali (anche se per qualche verso potrebbe sembrarlo) ma certamente è qualcosa che assomiglia molto a una dichiarazione di sostanziale impotenza. Con buona pace dei vari Fuffi, Fido e dei loro padroni.

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