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domenica 19 Maggio 2024
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Storia di un sindacalista, in un memoir di Caprino i suoi 40 anni in Federfarma

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Roma, 3 giugno – Federfarma, tutta un’altra storia. Promette bene fin dal titolo, il memoir che Franco Caprino (nella foto), nome storico del sindacalismo di categoria dei titolari di farmacia italiani, ha appena dato alle stampe, senz’altra mira che quella di mettere nero su bianco una serie di ricordi personali di avvenimenti che – per la loro stessa natura – hanno rilevanza collettiva, almeno all’interno della comunità professionale nella quale Caprino ha recitato una parte da protagonista per almeno quarant’anni.

Se poi al titolo (intrigante, e certo non per caso)  si aggiungono la storia personale dell’autore del volume e la sua marcata, vitale e generosa personalità, si comprenderà come, dopo appena un paio d’ore dal suo annuncio sulla piattaforma di Mondofarmacia, le manifestazioni di interesse per l’iniziativa editoriale di Caprino erano già un paio di migliaia.

Un memoir, dicevamo, questo è ciò che è la pubblicazione del farmacista romano: una raccolta di ricordi personali, una cronaca in soggettiva di eventi dei quali lo stesso autore è stato il più delle volte protagonista o almeno testimone diretto, una successione di fatti e giorni (in qualche modo memorabili)  e di incroci con personaggi delle istituzioni, della politica e della filiera farmaco-sanitaria, oltre che ovviamente con colleghi farmacisti. Il filo della narrazione è il percorso sindacale compiuto dall’autore, a tutela delle farmacie private italiane, nell’arco temporale dei quattro decenni che – con i loro accadimenti  e vicende – hanno finito per consegnarci la farmacia italiana così come la conosciamo oggi, quantum mutata ab illa degli esordi di Federfarma nei primissimi anni ’70 del secolo scorso, quando a regolare l’attività delle farmacie private (monopoliste pressoché assolute della distribuzione del farmaco) c’era il “sistema delle sette sorelle” e le uniche preoccupazioni (comunque non da poco) erano quelle di riuscire a ottenere i rimborsi mutualistici in tempi “umani” e di rispedire nel mondo delle velleità i ricorrenti tentativi di qualche politico di “nazionalizzare” (nientepopodimenoche!) il sistema di distribuzione del farmaco.

Ora, già la sola sola prospettiva di una lettura (o rilettura) della sorta di epopea che, nel bene e nel male, sono stati gli ultimi 40 anni della farmacia italiana basterebbe da sola a indurre a leggere subito la “fatica” letteraria di Caprino, che è stato spinto all’impresa da un’istanza che suona sincera, non fosse altro che per la sua banalità (se avesse davvero voluto impreziosire le ragioni della sua ispirazioni raccontando una balla, avrebbe infatti sicuramente cercato qualcosa di più originale e glamour, andiamo!..). L’autore la spiega candidamente nella sua breve presentazione al volume: “È un bene …  ricordare quanto più possibile la nostra storia perché dagli errori e dai successi si può continuare ad avere una farmacia sempre più vincente”.

Figuriamoci dunque se a quanto appena detto si aggiunge un’altra ragione (basica), ovvero la popolarità (in senso letterale) di cui Caprino gode nella categoria, risultante del suo lunghissimo percorso a spada sguainata nelle prime file del sindacato, che lo ha portato a incontrare  migliaia e migliaia di colleghi che –  come è ovvio, per reciprocità –  hanno incontrato lui, fosse anche solo perché seduti in platea in uno degli innumerevoli incontri ai quali è intervenuto in ogni angolo d’Italia, oppure per avergli stretto la mano o per averci scambiato qualche parola. Detto in altri termini: sono davvero pochissimi, soprattutto nella generazione dei boomer e in quelle immediatamente successive, a non conoscere Caprino. E tra gli stessi farmacisti più giovani – lo scriviamo con cognizione di causa – coloro che non sanno chi è sono una minoranza, al contrario dei molti che – anche se magari solo a grandi linee – sono perfettamente a conoscenza del suo passato di impegno nella rappresentanza di categoria. Ora, siccome niente è più irresistibile che sentire raccontare  storie, fatti e avvenimenti (che in qualche modo finiscono per riguardarci in via diretta e sono dunque parte anche della “nostra” storia) dalla viva voce di chi quelle storie le ha attraversate da protagonista, è facile prevedere un sicuro successo per il libro di Caprino,  destinato – non fosse altro che per curiosità – a fare molto parlare di sé, di quel che c’è scritto e di chi l’ha scritto.

Non entriamo – avendone già ampiamente delineato l’ambito – nei  contenuti del volume, anche per non “spoilerare” alcunché a chi non vorrà privarsi della sua lettura. Siamo certi che saranno numerosi, sia tra coloro che hanno apprezzato il lavoro di Caprino alla guida del sindacato, sia tra chi lo ha invece avversato: come accade a tutti i personaggi di spessore convinti delle proprie idee e capaci di portarle avanti con coraggio,  anche al farmacista romano è inevitabilmente accaduto in più di un’occasione di essere al centro di critiche e polemiche, alle quali non si è peraltro mai sottratto, cercando sempre il confronto. Perché una cosa non si può davvero negare: Caprino è stato, e si può ben dire ancora resta, un protagonista dell’ultimo mezzo secolo di storia della farmacia italiana. Ed è questa semplice verità che induce a ritenere che il racconto in prima persona dei suoi anni “guerrieri” alla guida di Federfarma nazionale (con Giorgio Siri presidente) e del sindacato regionale e provinciale sarà per molti un richiamo irresistibile.

Il problema, semmai, è che – a oggi – non sono state ancora definite le modalità di distribuzione del volume (curato, si legge tra i credits, dal giornalista de Il Messaggero  Marco Giovannelli e che si è avvalso della collaborazione del già ricordato Siri, dello storico direttore generale di Federfarma Giuseppe Impellizzeri,  di Antonino Annetta, per lunghi anni a fianco di Caprino nel sindacato romano, e di  Beatrice Faina). Al momento, dunque, non siamo ancora in grado di fornire le coordinate per richiederlo, trattandosi di un’opera che certo non è nata con finalità commerciali o lucrative, ma solo per raccontare quella che – alla fine – è anche e soprattutto la grande avventura umana di un uomo  sinceramente appassionato della farmacia e delle sua realtà professionale, capace di consacrare gran parte del suo tempo e delle sue energie, per quaranta lunghi anni, all’impegno totalizzante della sua tutela.

Molti, c’è da giurarci, non perderanno occasione di giudicare la carrellata nel passato di Caprino imprecisa, o reticente, se non  addirittura ambigua e mendace, altri si limiteranno a ritenerla difforme dai propri ricordi: è il destino e la natura dei memoir personali, del resto, dal momento che – essendo convenzionalmente ogni individuo un economizzatore cognitivo –  tutti noi trasformiamo  i fatti vissuti  (anche in relazione al coinvolgimento emotivo) per “conservarli” nel modo che rite4niamo “migliore” nella nostra memoria, che per elefantiaca che possa essere ha comunque limitate possibilità di stoccaggio. Per dirla con una “catalanata”, nessun fatto – che già viene inizialmente interpretato e percepito in modo diverso da persona a persona – produce un identico ricordo in due differenti individui.  In ogni caso, al di là di ogni possibile considerazione e di ogni reazione che il racconto di Caprino potrà suscitare, nel bene e nel male, l’avventura umana e professionale che il suo libro racconta merita il massimo rispetto e un sincero chapeau!

Rispetto che non sono riusciti a mostrare (ricordarlo è l’unico sassolino che il volume si leva dalla scarpa, in sede di prefazione) coloro che, con Caprino ormai fuori anche dai vertici  sindacali di Roma e Lazio, sono arrivati alla piccineria di ignorarne praticamente il nome (riservandogli solo una fugace e quasi invisibile citazione) nel volume celebrativo Federfarma, da 50 anni al servizio delle farmacie, edito in occasione del 50° anniversario del sindacato nazionale e portato in dono nel 2020 anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un’omissione che suonava e probabilmente voleva essere una specie di damnatio memoriae,  peraltro oggettivamente poco comprensibile, alla luce degli accadimenti della storia del sindacato.

Ma, in fondo, non vale neanche la pena di dolersi troppo del mancato chapeau! di costoro. La parola francese, notoriamente, equivale al nostro “tanto di cappello”. Accessorio che, per essere usato, ha bisogno di una testa. E quest’ultima, si sa, non è davvero detto che tutti ce l’abbiano.

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