Roma, 13 luglio – L’Agcm, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inviato al Governo alcune segnalazioni, al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, provvedimento che rappresenta un momento importante dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che “considera la tutela e la promozione della concorrenza quale fattore essenziale per favorire l’efficienza e la crescita economica del sistema e per garantire la ripresa dopo la pandemia, nonché una maggiore giustizia sociale”.
Tra gli obiettivi del Piano, si legge sull’ultimo bollettino dell’Agcm (pagg.18-29), “vi è, in particolare, l’impegno di rispettare la cadenza annuale della legge sulla concorrenza, essendo questa essenziale per rivedere in via continuativa lo stato della legislazione al fine di verificare se permangano vincoli normativi al gioco competitivo e all’efficiente funzionamento dei mercati, tenendo conto del quadro socioeconomico. Con l’intento di fornire agli organi di indirizzo politico il necessario supporto tecnico in ordine alle misure da adottare per promuovere l’evoluzione filo-concorrenziale del quadro regolatorio, l’Autorità con la presente segnalazione sottopone a Governo e Parlamento alcuni suggerimenti che derivano dall’osservazione quotidiana dei mercati al fine di favorire l’eliminazione di quelle
restrizioni che non risultino indispensabili per la tutela di rilevanti interessi generali”.
Alcune delle segnalazioni dell’Agcm sono di diretto interesse del settore sanitario e farmaceutico, a partire dalle misure suggerite per incrementare la competitività delle gare pubbliche per l’acquisto dei farmaci. Anche in considerazione del loro significativo peso economico sulla spesa sanitaria pubblica, l’Autorità ribadisce la necessità di promuovere le dinamiche competitive nel mercato dei farmaci biologici, in particolare attraverso lo stimolo all’impiego dei cosiddetti biosimilari, ampliando così la platea dei pazienti che possono accedere a tale tipologia di farmaci e contribuendo al contempo alla sostenibilità del sistema sanitaro.
Agcm torna a sottolineare l’opportunità di adottare una disciplina che faccia leva, anche nel caso dei farmaci biosimilari con principi diversi, sul criterio dell’equivalenza terapeutica, la quale, tuttavia, deve essere declinata tenendo conto delle specificità che caratterizzano questa tipologia di medicinali. È ben vero che in materia di farmaci biologici, che sono composti complessi prodotti a partire da un organismo vivente o da esso derivati, non si può parlare di vera e propria “equivalenza” terapeutica, più correttamente riferita soltanto ai farmaci di sintesi chimica, ma piuttosto di “sovrapponibilità”. Precisato questo, bisogna l’esperienza clinica dimostra che vi sono ipotesi concrete di sovrapponibilità terapeutica tra alcune tipologie di biosimilari. Pertanto, le norme vigenti appaiono eccessivamente e ingiustificatamente restrittive nel vietare in maniera assoluta la messa gara nel medesimo lotto di farmaci biosimilari con principi attivi differenti, anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche. In questa direzione vanno anche alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa, che ritengono possibile contemperare l’obiettivo di tutela della salute dei pazienti con quello di riduzione del costo delle cure attraverso la realizzazione di gare pubbliche per l’acquisto dei farmaci biosimilari che mettano in concorrenza tra loro anche principi attivi differenti, commercializzati per le medesime indicazioni terapeutiche, sulla base di motivate e documentate decisioni sulla sovrapponibilità terapeutica previamente espresse dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), ai sensi dell’articolo 15, comma 11-ter, del richiamato decreto legge 6 luglio 2012, n. 95.
Altra ambito sul quale Agcm ha qualcosa da segnalare e chiedere è quello della pubblicità sanitaria. Il comma 525 dell’articolo 1 della legge n. 145/2018 ha reintrodotto, secondo l’Autorità, limitazioni all’utilizzo della pubblicità nel settore delle professioni sanitarie che appaiono ingiustificate, in controtendenza rispetto al trend di liberalizzazione che ha contraddistinto l’evoluzione del settore e, alla fine, non motivate né proporzionate all’interesse generale di tutelare il consumatore. Circoscrivere il contenuto legittimo di una “comunicazione informativa” all’unico fine di “garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari” rende inefficace lo strumento pubblicitario. Per l’Agcm, non è infatti la pubblicità a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, quanto piuttosto “le misure in tal senso concretamente adottate dai professionisti nell’esercizio della propria attività, misure peraltro imposte dalla disciplina di settore e dalla dovuta diligenza professionale”.
Inoltre, il ricordato riferimento di “garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari” come parametro vincolante di valutazione delle comunicazioni informative, “risulta talmente vago nella sua effettiva applicazione da generare incertezza nei professionisti circa la legittimità dell’impiego dello strumento promozionale”. Conseguente la proposta dell’Agcm: eliminare dal comma 525 della legge n. 145/2018 l’inciso “funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escluso qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo” riferito alle comunicazioni informative nel settore.
Altro capitolo di interesse sanitario sono le misure volte ad armonizzare e migliorare l’accesso ai canali di vendita dei prodotti dieto-terapeutici per celiaci. Agcm rileva che sussistono significative differenze tra le diverse Regioni in ordine alle concrete modalità di accreditamento e di fruizione del contributo pubblico da parte dei soggetti cui venga diagnosticata e certificata la celiachia. In particolare, in alcune Regioni è previsto l’utilizzo di buoni cartacei mensili che vengono forniti dall’Azienda sanitaria locale (Asl) di appartenenza dietro presentazione del certificato medico attestante la malattia celiaca, in altre si utilizzano buoni dematerializzati accreditati direttamente sulla tessera, in altre si richiede l’utilizzo della ricetta rossa, mentre in altre ancora viene fornita in dotazione a tutti i soggetti celiaci una carta magnetica ricaricabile.
Le diverse modalità di accreditamento e di fruizione dei contributi adottate nelle varie Regioni riguardano in alcuni casi anche i canali presso i quali tali essi sono spendibili: in particolare, in alcune Regioni, i buoni – cartacei o digitali che siano – sono spendibili esclusivamente presso le farmacie (e/o le parafarmacie e/o gli esercizi commerciali specializzati), ma non in altri punti vendita dove sarebbe parimenti possibile reperire i medesimi prodotti. Tra questi, in particolare, i punti vendita della grande distribuzione organizzata (Gdo), dove sono presenti, con le rispettive linee di prodotti senza glutine, anche gli stessi operatori della Gdo con i propri private label e le industrie alimentari.
Ribadendo un parere già espresso in passato, Agcm ritiene che la restrizione dei canali distributivi nei quali utilizzare i contributi per l’acquisto di prodotti gluten free sia idonea a determinare un‘ingiustificata restrizione della concorrenza. Appare, inoltre, di fondamentale importanza, anche ai fini di una migliore accessibilità dei prodotti da parte dei pazienti affetti da celiachia, che si realizzi in tutte le Regioni una piena razionalizzazione e informatizzazione delle modalità di accredito del contributo pubblico, tale da garantire sia una rendicontazione trasparente e automatica sia modalità di rimborso agevoli e tempestive per qualunque tipologia di esercizio commerciale. Agcm ritiene in conclusione che in tutte le Regioni d’Italia “debbano essere uniformemente
realizzati sia il massimo allargamento possibile del numero e della tipologia dei negozi in convenzione con le Asl dove è consentito l’utilizzo del contributo pubblico, sia una adeguata razionalizzazione, semplificazione e dematerializzazione delle procedure di accreditamento. E ciò al fine di garantire una corretta dinamica concorrenziale tra diversi prodotti e diversi canali di vendita e, per tale via, un ampliamento reale delle possibilità di scelta dei consumatori e del loro potere di acquisto”.
Per raggiungere l’obiettivo, la proposta è quella di “modificare il decreto ministeriale 8 giugno 2001 e, segnatamente, l’articolo 6, in modo da demandare non alle singole regioni, bensì al ministero della Salute il compito di emanare le direttive con le quali autorizzare i fornitori alla vendita dei prodotti per celiaci acquistabili con il contributo del Ssn”.
Nel medesimo decreto, aggiunge l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, potrebbe anche “essere specificato l’obbligo di procedereall’erogazione dei contributi con sistema dematerializzato, che consenta l’utilizzo di procedure di accreditamento più snelle e automatizzate per i fruitori e di sistemi di rimborso e di rendicontazione telematici per i fornitori”.