Roma, 7 ottobre – Un team di scienziati italiani dell’Università Cattolica di Roma e dell’università Roma Tre ha scoperto un interruttore chiave per l’equilibrio energetico delle cellule: si chiama fosfatasi B55 e potrebbe divenire il bersaglio di nuove terapie per malattie che vanno dal morbo di Parkinson a patologie rare causate da difetti delle centrali energetiche della cellula, i mitocondri.
Lo “switch” fosfatasi B55 (PP2A-B55alfa) regola proprio l’equilibrio dei mitocondri e i ricercatori dei due atenei romani hanno osservato che riducendone l’attività si riducono i sintomi motori del Parkinson in moscerini della frutta modello di malattia.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Advance‘, è stato guidato da Francesco Cecconi, ordinario di Biochimica del Dipartimento di scienze biotecnologiche di base, cliniche intensivologiche e perioperatorie dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e condotto da Valentina Cianfanelli (insieme a Cecconi nella foto a lato), associato nel Dipartimento di scienze dell’università Roma Tre e responsabile scientifico di Progetto Ricerca finalizzata Giovani ricercatori nell’Unità di Ginecologia oncologica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs.
I mitocondri, organelli cellulari molto complessi, vitali per la sopravvivenza delle cellule, sono deputati alla produzione di energia che serve alle cellule per vivere. La loro integrità è associata a diverse malattie, sia diffuse come il Parkinson e sia rare, le cosiddette malattie mitocondriali che possono colpire diversi distretti corporei, dai muscoli agli occhi al cervello.
All’interno delle cellule vi è un delicato equilibrio tra i mitocondri vecchi o danneggiati che devono essere smaltiti e i nuovi che devono svilupparsi in sostituzione. In alcune malattie, però, questo equilibrio viene meno e se i mitocondri vengono persi in eccesso, o se organelli danneggiati si accumulano nella cellula e non vengono smaltiti regolarmente, la sopravvivenza stessa della cellula risulta in pericolo. Nel caso del Parkinson, ad esempio, si è visto che nella morte dei neuroni dopaminergici alla base della malattia vi è anche la complicità della perdita di mitocondri.
Gli esperti hanno scoperto che B55 ha un ruolo chiave nel regolare l’omeostasi mitocondriale. “Da un lato promuove la rimozione dei mitocondri danneggiati stimolando la mitofagia, processo selettivo di rimozione degli organelli non più efficienti e potenzialmente pericolosi” spiega Cecconi. “Dall’altro, B55 agisce come controllore della biogenesi mitocondriale, stabilizzando il principale promotore della formazione di nuovi mitocondri”.
In questo modo, continua il ricercatore, “B55 non si limita a favorire la degradazione dei mitocondri danneggiati ma, contemporaneamente, impedisce un’eccessiva produzione di nuovi organelli, mantenendo così un equilibrio dinamico tra eliminazione e sintesi mitocondriale. È di grande interesse che entrambi questi effetti dipendano dall’interazione funzionale fra B55 e Parkin, una proteina centrale nei meccanismi di mitofagia, coinvolta nella malattia di Parkinson”.
Non a caso nella ricerca, utilizzando modelli del Parkinson nella Drosophila (moscerino della frutta), “abbiamo osservato che la riduzione dei livelli di B55 migliora sia i difetti motori sia le alterazioni mitocondriali tipici della malattia” spiegano Cecconi e Cianfanelli. “Questo effetto richiede la presenza del fattore Parkin e agisce prevalentemente sulla biogenesi dei mitocondri”.
L’idea “potrebbe essere di sviluppare molecole di piccole dimensioni in grado di penetrare nel cervello ed agire selettivamente sui neuroni dopaminergici, contrastandone la morte” chiarisce ancora Cecconi.”Più in generale, un farmaco che regoli l’azione di B55 potrebbe essere sfruttato anche in diverse patologie mitocondriali caratterizzate da perdita di mitocondri, incluse alcune miopatie mitocondriali e malattie neurodegenerative. Non solo, ma la deregolazione di qualità e numero di mitocondri è anche alla base della plasticità delle cellule tumorali e della loro capacità di resistere a terapie, quindi controllare B55 potrebbe divenire un approccio promettente in ambito oncologico”.
Ecco perché, concludono gli autori, “i nostri futuri studi mireranno a identificare molecole e strategie terapeutiche sicure per modulare B55 in modelli preclinici e cellulari umani soprattutto al fine di analizzare l’effetto della sua regolazione su altre malattie neurodegenerative e mitocondriali”.