Roma, 19 febbraio – Ebbene sì: benché il Senato, come riferiscono doviziosamente le cronache, sia avvitato intorno al dibattito sul disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, prosegue l’iter in Commissione Industria del ddl 2805, recante la legge annuale su mercato e concorrenza.
Anche se il verbo “proseguire”, in verità, non restituisce del tutto gli impicci e gli impacci che il provvedimento sta incontrando nel suo cammino verso un’approvazione che avrebbe dovuto arrivare entro la fine del 2015 o, al più, nelle primissime settimane di gennaio e che invece è ancora di là da venire, nonostante sia passato ormai un anno esatto dal varo del provvedimento in Consiglio dei Ministri.
Giusto per dare un esempio dell’aria che tira, la seduta di ieri della 10a Commissione dedicata all’esame e alla votazione degli emendamenti al ddl è durata sì e no cinque minuti, più che sufficienti al presidente Pd Massimo Mucchetti per comunicare la riformulazione di tre emendamenti (in materia di assicurazioni, distribuzione dell’energia e trasformazione delle società) e rinviare ancora una volta tutto alla prossima settimana.
Se a Palazzo Madama il ddl Concorrenza procede con andamento lento, non altrettanto accade al dibattito scatenatosi intorno ai suoi contenuti, soprattutto in relazione alle misure previste per il settore della farmacia. Qui, gli strappi e le accelerazioni polemiche davvero non mancano, quasi tutte scatenate da quella che – ormai – sembra essere diventata l’unica questione capace di far alzare barricate: l’allargamento della vendita dei farmaci di fascia C soggetti a obbligo di ricetta anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO, dove notoriamente è obbligatoria la presenza del farmacista.
Al confronto, sul tema dell’ingresso del capitale nella proprietà delle farmacie, nonostante la misura si annunci di impatto tale da cambiare la storia del retail farmaceutico in Italia, sembra essere calata la sordina. Non solo della questione si parla infinitamente di meno, ma soprattutto non sembra esserci più nessuno disposto a stracciarsi le vesti di fronte a una prospettiva che – prima del febbraio 2015, quando essa apparve del tutto a sorpresa nel testo del ddl Concorrenza licenziato dal Governo Renzi – la maggioranza assoluta dei farmacisti italiani considerava un’incommensurabile iattura.
Se gli esercizi interpretativi sulle possibili ragioni della “perdita di interesse” per il tema del capitale, almeno a giudicare dalla piega che ha preso il dibattito, tutto concentrato sulla fascia C (protagonista di nove titoli su dieci negli articoli che i giornali di settore dedicano al ddl Concorrenza), possono essere tranquillamente lasciati agli inguaribili aficionados della dietrologia, non appare invece inutile registrare come il cambio di paradigma sia comprovato da segnali evidenti e oggettivi.
Uno tra questi, ad esempio, è l’ultima sortita di Federfarma Palermo-Utifarma, che in una nota diffusa ieri – una sorta di appello ad autorità e opinione pubblica – afferma la necessità di “difendere la farmacia, quella sotto casa, che rischia di chiudere a causa del fatto che alcune forze politiche, sotto la pressione di grandi gruppi commerciali e finanziari che hanno nel profitto il loro unico interesse, stanno cercando di inserire nel Ddl Concorrenza, che il Senato dovrebbe approvare definitivamente nei prossimi giorni, la liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C (quelli a pagamento e con obbligo di ricetta medica) anche presso i supermercati e la grande distribuzione.”
“Si tratta di farmaci importanti, come gli psicofarmaci e gli ormoni sessuali, finora venduti solo esclusivamente mediante i criteri di etica, professionalità e qualità dell’assistenza garantiti dal farmacista di fiducia, il cui primo interesse è la salute del cittadino” si legge nella nota dei farmacisti palermitani “mentre questa riforma si limiterebbe a spostare sotto la sfera di interessi esclusivamente commerciali un settore che vale in Italia 2,3 miliardi di euro.”
L’appello di Federfarma Palermo-Utifarma, lanciato su tutti i mezzi di informazione, vuole spiegare le ragioni di una “battaglia per il modello italiano di farmacia che è una battaglia per i diritti del cittadino”.
“La farmacia è un bene comune ma la farmacia è anche conveniente e va difesa” scrive il presidente del sindacato palermitano Roberto Tobia (nella foto), tornando a riproporre i dati Aifa secondo i quali le liberalizzazioni volute nel 2006 dall’allora ministro del MISE Pierluigi Bersani, non solo non hanno prodotto risultati in termini di risparmio per i cittadini, ma hanno finito per indurre un aumento della spesa a loro carico, portando l’agenzia regolatoria a concludere che “se l’obiettivo della liberalizzazione della vendita dei medicinali da banco era quello di rappresentare un vantaggio per i pazienti, i dati obiettivi e certificati evidenziano il completo fallimento di tale presupposto”.
“La liberalizzazione della fascia C – continua Tobia – sarebbe un colpo che metterebbe a rischio la già difficile sostenibilità del sistema farmacia in Italia e soprattutto in Sicilia. Trovo assurdo che la salute possa essere oggetto di concorrenza. Chi vuole sostituire la farmacia col supermercato, ricordi che sostenere il profitto dei grandi gruppi commerciali farà venire meno uno storico baluardo di professionalità, qualità dell’assistenza, tutela massima della salute e oculata politica dei prezzi”.
Considerazioni che, ovviamente, non hanno mancato di sollevare un’immediata risposta da parte di chi – i farmacisti delle parafarmacie – è invece di tutt’altro avviso (ne riferiamo in un altro articolo del giornale).
Ma che c’entra la sortita (come al solito puntuale e argomentata) di Federfarma Palermo con le considerazioni relative al cambio di passo e di paradigma del dibattito sul ddl Concorrenza?
La risposta è contenuta nell’allarme che lo stesso Tobia lanciò al momento dell’inizio dell’esame del ddl Concorrenza a Montecitorio, nello scorso settembre, tutto centrato (al cotrario di questo) sulle norme dedicate all’apertura delle porte della farmacia al capitale: “Spalancheranno, soprattutto in Sicilia, le porte alle mafie, al riciclaggio e alle speculazioni” sottolineava allora il presidente di Federfarma Palermo con evidenti preoccupazione e convinzione, aggiungendo che in Sicilia lo “sdoganamento” del capitale avrebbe esposto decine e decine di farmacie in forte crisi finanziaria al rischio di finire travolte ed evocando il pericolo di “una gigantesca Opa sulla rete farmaceutica, di fatto autorizzata dallo Stato”, alla quale sarebbe stato impossibile resistere.
“L’ingresso del capitale nelle farmacie stravolgerà, nel giro di pochi anni, l’intero sistema. I rischi sono elevati soprattutto per i più deboli” affermava allora Tobia, concludendo con l’appello a Procura della Repubblica e alla Prefettura “di stendere una rete di controlli capillari a protezione del sistema farmaceutico dalla voracità degli speculatori e dei capitali mafiosi o di provenienza illecita”.
Non è davvero escluso, ed è anzi molto probabile, che quelle preoccupazioni (riprese peraltro da altri rappresentanti della professione farmaceutica, ma anche della politica, delle istituzioni e della cosiddetta società civile) ancora permangano. È un fatto, però, che nella comunicazione diffusa ieri da Federfarma Palermo – esclusivamente centrata sulla fascia C – non se ne trova più alcun cenno, fosse anche una semplice eco o un lontano riverbero.
A scanso di equivoci, precisiamo subito che non annettiamo alcun particolare significato all’evidente scarto tematico tra le due note palermitane sul ddl Concorrenza, attesa la grandissima rilevanza di entrambi gli argomenti trattati.
Molto semplicemente, l’ultimo comunicato diramato dal sindacato dei titolari presieduto da Tobia conferma la sensazione di quel cambio di paradigma al quale si è fatto cenno: negli ultimi mesi, all’interno del dibattito sul ddl Concorrenza, il tema della fascia C fa premio su ogni altro, quasi prescindendo dal “peso specifico” delle singole misure contenute nel provvedimento e negli emendamenti che vogliono correggerlo. Può voler dire qualcosa (o anche molto), così come può anche non volere dire nulla: segnalarlo, però, non sembra del tutto inutile.