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mercoledì 12 Febbraio 2025
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Commissione Covid, audizione dell’Iss: “Nessun tentativo di addomesticare i dati”

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Roma, 31 gennaio-  Un’audizione molto attesa, quella svolta ieri a Palazzo San Macuto (nella foto del titolo) da rappresentanti dell’Iss davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus Sars Cov 2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l’emergenza epidemiologica.

Il contributo arrivato dai rappresentanti dell’Iss – la prof. Anna Teresa Palamara (nella foto),  direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’istituto e Patrizio Pezzotti, direttore del reparto di Epidemiologia, Biostatistica e Modelli matematici – ha infatti sicuramente permesso di fare chiarezza sulle scelte che il Paese, con i suoi apparati di salute, ha messo a terra per contrastare una prova inedita e devastante. Non sono mancati, ed era inevitabile, alcuni passaggi “delicati”, come quello in cui Palamara ha risposto a una domanda di Claudio Borghi, senatore della Lega, per sapere se l’Istituto superiore di sanità avesse subito influenze sulla modalità di presentazione dei dati durante la pandemia.

“Non è stato mai chiesto a me né al gruppo coinvolto di addomesticare i dati. I numeri pubblicati sono veritieri e verificabili” ha risposto Palamara, con grande e composta fermezza. Pezzotti, per contro, non ha voluto rinunciare a rispondere che, solo per essere stata avanzata, “questa domanda mi ferisce. Non rispondiamo mai alla politica e non c‘è mai stato un tentativo di addomesticare i dati”.

Basta questo scambio a far comprendere come all’interno della Commissione Covid, fonte di aspre e infinite polemiche fin dalla sua costituzione, sulla cui opportunità peraltro ancora si discute, oltre alla dichiarata voglia di capire se la pandemia di Sars Cov 2 che ha colpito il nostro Paese a partire dal 2020 sia stata affrontata nel miglior modo allora possibile, ci siano intendimenti e sentimenti decisamente altri e diversi. I tentativi di “buttarla in politica” di qualche commissario, rivelatori più dell’intenzione di colpire qualche avversario e di consumare qualche vendetta che non della voglia di capire davvero in che modo il Paese, trovatosi all’improvviso a dover a un fronteggiare un evento drammatico, abbia elaborato le sue risposte di contrasto, sono però andati a sbattere in questa occasione contro la grande competenza scientifica dei rappresentanti dell’Iss e la loro granitica certezza di aver operato al meglio delle possibilità sulla base delle conoscenze disponibili, con grande dedizione e diligenza, per contrastare il più efficacemente possibile le fasi più drammatiche della pandemia, il tutto con un atteggiamento di grande rigore e compostezza che è poi quello che sempre dovrebbe caratterizzare chi rappresenta una pubblica istituzione.

La lunghissima audizione (il video dell’intera seduta è disponibile qui) ha sicuramente fornito molte di informazioni estremamente chiare e documentate, utili a fare luce e a dimostrare che la pandemia – nelle condizioni date, che soprattutto all’esordio delle infezioni, erano di totale incertezza per le scarse conoscenze e informazioni di cui si disponeva a livello globale – è stata affrontata nel miglior modo possibile. Proprio il primo lockdown – da sempre uno dei primi bersagli di quegli esponenti politici che rispetto a Covid non hanno fatto mistero né delle loro inclinazioni negazioniste nè della loro decisa opposizione ai vaccini – è stato la scelta (lo ha ricordato Pezzotti) che ha permesso di ridurre nell’arco di due sole settimane di l’indice di trasmissibilità R0 da circa 3 a meno di 1.

“Naturalmente ci siamo posti la domanda se valesse la pena fare il lockdown oppure se fosse sufficiente limitarlo alla Lombardia e al Veneto. Su questo abbiamo condotto un’analisi pubblicata sulla rivista Emerging Infectious Diseases” ha spiegato Pezzotti. “Nella gran parte delle Regioni, l’indice di trasmissibilità era intorno a 3; con il lockdown in due settimane si è sceso sotto 1, il numero chiave per contenere un’epidemia” ha proseguito.

“La differenza che vedevamo in quel momento in Lombardia e Veneto era la diffusione di base dei contagi” ha concluso Pezzotti. “Se non avessimo chiuso, quella diffusione che al Nord era già così elevata in breve tempo avrebbe raggiunto il Centro-Sud” ha concluso Pezzotti, con buona pace di chi all’epoca urlava, nel migliore dei casi, che chiudere i bar ed i ristoranti e tutte le attività era una follia, la decisione più sbagliata che si potesse prendere, una decisione che rischiava di far morire tutto il Paese. Il tutto mentre i camion militari con le bare dei morti veri per Covid ancora sfilavano.

Deve essere proprio vero: i fatti non contano più (neppure quando provocano morti), e quindi, a questo punto, non conta più nemmeno la loro interpretazione, come sosteneva Nietzsche. Conta solo quella che da qualche anno viene chiamata post-truth, la post-verità, quella che ciascuno si inventa e – se ha i mezzi per farlo – veicola e impone. A occhio e croce, non siamo messi molto bene ed è ogni giorno più evidente che il buon Manzoni avesse ragione a sostenere che “non sempre ciò che vien dopo è progresso”.

 

 

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