Roma, 21 luglio – Passaggio cruciale per la crisi di governo apertasi con le dimissioni del premier Mario Draghi, una settimana fa, a seguito della mancata fiducia del M5s al Decreto Aiuti. L’invito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella al presidente del Consiglio a non lasciare niente di intentato per continuare la sua esperienza di governo in un frangente delicatissimo per la vita del Paese, gli appelli generalizzati giunti dalla società civile, da duemila sindaci italiani, dagli imprenditori, dalle forze professionali (tra le quali le professioni sanitarie e il sindacato dei titolari di farmacia), da esponenti della cultura e un gran numero di cittadini, unitamente alle “pressioni” delle cancellerie internazionali, hanno indotto Draghi (e non era assolutamente scontato) a riconsiderare la sua decisione e a tornare davanti al Parlamento.
“All’Italia serve un nuovo patto di sviluppo concreto e sincero. Partiti, siete pronti a ricostruire questo patto? Siamo qui in quest’Aula solo perché gli italiani lo hanno chiesto. È una risposta che dovete dare a tutti gli italiani” ha detto il presidente del Consiglio durante le comunicazioni nell’Aula del Senato. Il discorso, a misurarlo con l’applausometro dell’Aula, non ha però convinto le forze della maggioranza più orientate allo strappo, ovvero il M5s e la quasi totalità dei senatori della Lega, che non hanno applaudito e poi nei loro successivi interventi, a dirla in soldoni e al netto delle contorsioni bizantine dei nostri esponenti politici, hanno sostanzialmente confermato di voler staccare la spina all’esecutivo.
Al termine del dibattito è stata tentata una mediazione in extremis, sospendendo la seduta per trovare una soluzione capace di superare l’impasse. Ma in un’ora e mezza di frenetici contatti tra i vari rappresentati dei partiti di maggioranza, tra le 15,30 e le 17 circa (arco di tempo in cui Draghi ha presumibilmente sentito anche il presidente della Repubblica per accorrentarlo sulla situazione) non si è riusciti a smuovere Lega e M5s dalle loro posizioni: al rientro del premier a Palazzo Madama per la sua replica (dai toni insolitamente duri) per il governo Draghi i giochi erano ormai fatti, .La durissima giornata in Senato è quindi sfociata in una risoluzione di richiesta di fiducia piuttosto scarna, presentata da Pierferdinando Casini, con la richiesta di approvare le comunicazioni fatte in Aula dal capo del governo. La fiducia è passata ma con soli 95 voti, Lega, Fi e M5s non votano. Un esito numerico che ha plasticamente sancito che la larga maggioranza che sorreggeva il governo fortemente voluto 17 mesi fa dal Capo dello Stato si è dissolta. L’esecutivo, dunque, è arrivato al capolinea, e con esso – con ogni probabilità – anche la legislatura.
Draghi salirà probabilmente domani al Quirinale, ma ancora al Colle non è stata fissata un’agenda. Infatti il premier ha intenzione di recarsi anche alla Camera per il dibattito sulle sue comunicazioni. Solo al termine dei lavori dell’Assemblea di Montecitorio, deciderà di recarsi a riferire al Presidente Mattarella. A quel punto il Capo dello Stato avrà tutti gli elementi per decidere come procedere. Se aprire eventuali consultazioni oppure se e quando sentire i presidenti del Senato e della Camera, Elisabetta Casellati e Roberto Fico, per procedere poi allo scioglimento delle Camere.
Per il suo rilievo, in calce all’articolo riportiamo il discorso integrale pronunciato da Draghi.