Roma, 10 dicembre – Subito dopo il voto per le nostre elezioni ordinistiche, rispondendo alla miriade di messaggi di congratulazioni e auguri che (sinceri o meno che siano) sempre si ricevono in queste circostanze, ho appreso una cosa curiosa ma non priva di spunti di riflessione. La denominazione Insieme scelta per contrassegnare la lista poi premiata dalla fiducia di farmaciste e farmacisti romani è esattamente la stessa utilizzata dalle liste che hanno vinto, sempre qui a Roma, le elezioni degli Ordini dei medici e degli infermieri.
Inutile precisare che la scelta della denominazione è stata effettuata, in ciascun Ordine, ignorando quel che avveniva, o doveva ancora avvenire, in casa altrui. Insomma, per una qualche singolare combinazione astrale, le nuove dirigenze professionali provinciali di medici, farmacisti e infermieri hanno sintetizzato i rispettivi programmi di gestione dell’Ordine utilizzando lo stesso avverbio. Una coincidenza? Forse sì, anche se personalmente preferisco credere che la consonanza delle scelte sia anche una consonanza di sentimenti e modi di pensare. La faccio breve: alla faccia di chi insegue ancora il sogno degli uomini soli al comando o crede ai sedicenti uomini della provvidenza, si è ormai fatta strada e si sta sempre più diffondendo la convinzione che da soli non si va da nessuna parte, soprattutto quando in ballo ci sono destini plurali e collettivi come quelli di una professione. Fare insieme diventa allora un imperativo, prima e più ancora che una scelta. E la scelta di medici, infermieri e farmacisti di premiare dirigenze che hanno utilizzato l’avverbio Insieme come proprio vessillo elettorale dimostra come questa affermazione sia del tutto condivisa.
Ora però bisogna essere coerenti e conseguenti: medici, farmacisti e infermieri sono i professionisti della sanità di prossimità, che non può esistere né può essere efficiente ed efficace se queste tre componenti professionali non operano in modo sinergico e coordinato sul territorio. Ovvero, se non operano insieme, in progetti condivisi che – esaltando i rispettivi ruoli, funzioni e competenze – si concentrino sugli unici risultati che contano: la soddisfazione dei bisogni di salute dei cittadini in un quadro di indispensabile sostenibilità economica.
Nei prossimi giorni incontrerò i colleghi presidenti di Omceo Roma, Antonio Magi, e di Opi Roma, l’Ordine provinciale delle professioni infermieristiche, Maurizio Zega: sarà un’imperdibile occasione per ricordare loro quanto ho appena detto, chiedendo di sottoscrivere un impegno comune: a far data da subito, le relazioni inter-professionali devono essere ispirate alla parola scelta da tutti, insieme.
Come maggiori conoscitori ed esperti della sanità del territorio e dei suoi problemi e necessità, oltre che dei bisogni di salute dei cittadini (a partire da quelli che restano senza risposte), medici, farmacisti e infermieri sono anche i professionisti che più e meglio possono contribuire ad avviare soluzioni e progetti dal basso per migliorare e sviluppare davvero – come si propone la Missione 6 Salute del Pnrr – la sanità pubblica di prossimità, agendo anche nell’ambito dell’organizzazione dei servizi socio-sanitari, in particolare per superare la mancanza di meccanismi strutturati per individuare tempestivamente i bisogni e le risorse, limite che pregiudica la capacità di programmazione necessaria per rispondere ai bisogni che evolvono continuamente e che solo le tre professioni-cerniera tra sistema sanitario e cittadini sono in grado di intercettare e “leggere”, offrendo contributi che nessun altro può offrire anche sul piano progettuale .
C’è ancora molto da fare per sviluppare un’assistenza di prossimità fondata sulla conoscenza approfondita della persona e del suo contesto di vita (penso, ad esempio, all’assistenza domiciliare) e sono ragionevolmente convinto che gran parte di questa to do list possa e debba essere appannaggio delle tre professioni della prossimità, anche in termini di contributo alla progettazione e all’affidamento dei servizi. Tre professioni che possono davvero essere – dopo la lunghissima stagione dell’ospedal-centrismo – le pietre d’angolo di una sanità più accessibile e sostenibile, capace di rispondere ai bisogni di assistenza dei cittadini sul territorio.
Per centrare l’obiettivo, però, bisogna lasciarsi alle spalle alcune vecchie e poco commendevoli abitudini, su tutta quella di invocare a parole le “sinergie inter-professionali”, dicendosi disponibili a lavorare insieme in programmi comuni, salvo poi combattere battaglie anche cruente per difendere con le unghie e i denti il proprio orticello non appena si affacci all’orizzonte la minaccia del conferimento a un’altra professione della possibilità di erogare un servizio o una prestazione ritenuti di propria ed esclusiva competenza.
Ecco, quel che dirò ai miei colleghi quando a breve li incontrerò è proprio questo: visto che ci crediamo tutti – medici, farmacisti e infermieri – mettiamo da parte le vecchie logiche e la tentazione di primazie e trasformiamo la parola “insieme”, da semplice avverbio, in un viatico, un manifesto di intenti condivisi che – attraverso il lavoro comune, anche in sede di studio e progettazione – diventi la fucina di una sanità nuova e più rispondente alle necessità dei pazienti, al contesto economico, alle innovazioni della scienza e della tecnologia, alle trasformazioni sociali. Insieme possiamo davvero farcela, nell’interesse del Paese. A patto che insieme voglia davvero dire “insieme”.
Se vi va, ditemi cosa ne pensate e fate le vostre proposte su come e su quali progetti cominciare a costruire la “santa alleanza” con medici e infermieri: ogni mattone è buono, quando si tratta di costruire una sanità di prossimità solida e funzionale.
Giuseppe Guaglianone