Roma, 27 luglio – I tumori neuroendocrini, malattie neoplastiche ancora difficili da diagnosticare e molto eterogenee da un punto di vista clinico e biologico, fanno registrare in Italia più di 2.600 nuovi casi all’anno. Si tratta di malattie molto impegnative, perché il paziente deve assolutamente essere assistito da un team multidisciplinare che discute il singolo caso clinico e delinea il piano terapeutico più idoneo. A ribadirlo è una recente revisione condotta dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) pubblicata sulla rivista Cancer Treatment Reviews.
“Abbiamo condotto un’analisi per valutare il ruolo effettivo dei farmaci octreotide e lanreotide” spiega Saverio Cinieri, presidente nazionale dell’Aiom (nella foto). “Si tratta di due analoghi della somatostatina che utilizziamo da anni come terapie in grado di bloccare la crescita tumorale e di controllare alcuni sintomi associati alla malattia. Tuttavia, il loro uso in alcuni contesti clinici per i tumori neuroendocrini gastroenteropancreatici e polmonari, risulta controverso. Non c’è un accordo universale tra gli specialisti in quanto le evidenze scientifiche non sono così nette. Anche le varie linee guida internazionali risultano talvolta discrepanti tra di loro”.
È emerso, spiega Nicola Fazio, direttore del programma Tumori dell’Apparato digerente e neuroendocrini dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) che, “a differenza di situazioni cliniche classiche dove l’utilizzo di queste terapie è di routine, esistono contesti particolari in cui octreotide e lanreotide possono determinare benefici a pazienti selezionati, benché le evidenze scientifiche siano modeste. Questa tipologia di casi dovrebbe essere discussa all’interno di gruppi multidisciplinari dedicati ai tumori neuroendocrini, comprendenti clinici quali oncologo, endocrinologo, gastroenterologo, internista, medico nucleare”.