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martedì 10 Dicembre 2024
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Dalle adipochine prospettive promettenti per nuovi farmaci contro conseguenze obesità

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Roma, 26 novembre – Le adipochine sono ormoni o molecole dell’infiammazione che vengono prodotte dal tessuto adiposo. Molte potrebbero diventare nuovi bersagli terapeutici. C’è infatti una ‘miniera’ di possibilità terapeutiche nascosta nel grasso. I loro segreti e come sfruttarle per combattere e prevenire una serie di malattie cardio-metaboliche, dal diabete di tipo 2 alle malattie cardiovascolari, al fegato grasso, sono riassunti in una review pubblicata su Nature Reviews Immunology da esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con l’Università di Innsbruck, della quale riferisce un circostanziato lanciodell’agenzia Adnkronos Salute.

Il tessuto adiposo – ricordano i ricercatori nel loro lavoro – lungi dall’essere un semplice magazzino di energia, è stato sdoganato da anni anche come organo endocrino, in quanto produttore di una serie di sostanze (come adiponectina, leptina) implicate nel controllo della fame e dell’appetito e quindi del peso corporeo.

“È infatti un organo attivo anche sul versante immunitario, per la produzione di una serie di citochine come il Tumor necrosis factor (Tnf) e l’IL-1 beta”, afferma Antonio Gasbarrini (nella foto), preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ordinario di Medicina interna e direttore della Uoc di Medicina interna e Gastroenterologia della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma. “I mediatori prodotti dal tessuto adiposo sono in grado di influenzare le risposte immunitarie alla base della cosiddetta ‘infiammazione metabolica’ e la metainfiammazione, che caratterizzano una serie di malattie metaboliche e alla base di condizioni quali la resistenza insulinica, le malattie epatiche associate a disfunzione metabolica (il ‘fegato grasso’, steatosi epatica associata a disfunzione metabolica) e di una serie di complicanze cardiovascolari”.

L’articolo pubblicato da Gasbarrini e da Gianluca Ianiro (nella foto), docente di Gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e gastroenterologo di Fondazione Gemelli, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Innsbruck (Herbert Tilg e Timon E. Adolph), mette in evidenza come le adipochine partecipino a questa ‘conversazione’ immunitaria che si verifica tra una serie di organi metabolicamente attivi e il loro ruolo fondamentale nell’obesità; ma anche di come queste conoscenze possano essere sfruttate per potenziali interventi terapeutici.

“I due principali attori di questo sistema, sul versante ormonale” spiega Ianiro “sono l’adiponectina e la leptina. La prima ha effetti favorevoli, poiché migliora la sensibilità all’insulina e contrasta l’infiammazione metabolica. Più alte sono le concentrazioni di adiponectina nel sangue circolante, più si riduce l’incidenza di obesità e di patologie ad essa correlate, come il diabete di tipo 2 e gli eventi cardiovascolari. Per questo rappresenta un potenziale target terapeutico. Alcuni farmaci già in uso, come Sglt2 inibitori, analoghi recettoriali di Glp-1, agonisti di PPARgamma, ne aumentano i livelli; ma sono allo studio anche farmaci ad hoc, come gli agonisti Adipor”.

“La leptina è al contrario la ‘cattiva’ della situazione”  continua Ianiro. “È un prodotto del gene ob (come obesità), promuove l’assunzione di cibo, l’adipogenesi e l’infiammazione, peggiorando così le malattie metaboliche e infiammatorie. Rilasciata dal tessuto adiposo, arriva al cervello dove controlla l’assunzione di cibo e la sazietà, l’appetito, il peso e il bilancio energetico. E’ implicata in una serie di malattie autoimmuni e infiammatorie. La presenza di elevate concentrazioni di leptina nel sangue è predittiva della comparsa di diabete di tipo 2 e rappresenta un fattore di rischio per malattie cardiovascolari e non solo. Gli analoghi recettoriali dei Glp-1, usati per trattare obesità e diabete, riducono le concentrazioni di leptina e questo può contribuire ai loro effetti”.

Molti altri i mediatori prodotti dal tessuto adiposo hanno un importante ruolo nell’infiammazione. La Nampt (nicotinamide fosforibosil-transferasi), ad esempio – illustrano gli esperti – è un’adipochina ad attività pro-infiammatoria, mentre l’apelina e l’Fgf21 hanno proprietà antinfiammatorie (il trattamento con apelina sintetica, Apl-13, riduce la gravità della colite cronica e i danni neurologici dopo ischemia cerebrale nel topo). L’apelina ha anche effetti benefici sulle malattie metaboliche: riduce la disfunzione metabolica, la resistenza insulina e il peso corporeo nell’obesità.

L’equilibrio tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ dell’infiammazione può influenzare la formazione dei tumori, la resistenza insulinica, le malattie cardiovascolari aterosclerotiche, l’infiammazione e la fibrosi del fegato. E tutto parte dal tessuto adiposo. “La sostanza a maggior potenziale terapeutico” precisa Gasbarrini “è al momento l’Fgf21, un’adipochina prodotta dal tessuto adiposo e dal fegato che migliora il metabolismo del glucosio, riduce i trigliceridi e aumenta la produzione di adiponectina; ha inoltre effetti anti-infiammatori e anti-fibrotici. Tutte azioni che ne fanno un target terapeutico ideale contro le malattie metaboliche. Al momento l’efruxifermina, una proteina di fusione Fc-Fgf21 a lunga durata d’azione, è al vaglio di studi clinici sulla steatoepatite metabolica”.

In conclusione, rimarcano i ricercatori, la carenza di adipochine protettrici o l’eccesso di adipochine patologiche possono contribuire all’infiammazione metabolica, alla metainfiammazione, allo sviluppo di disfunzione metabolica e quindi alla comparsa di malattie cardio-metaboliche. Nonostante un indubbio avanzamento delle conoscenze, però, restano ancora molte zone d’ombra su come un tessuto adiposo disfunzionale, tipico dell’obesità, possa contribuire all’infiammazione metabolica (misurabile attraverso la proteina C reattiva ad alta sensibilità, hsPCR) perché sono tanti gli attori in scena. A questa situazione già complessa contribuiscono inoltre anche istanze di medicina di genere, che rappresentano un’ulteriore importante variabile in grado di influenzare la sintesi delle adipochine e l’infiammazione metabolica.

“Un modello a ‘più colpi paralleli’ è quello che meglio potrebbe spiegare l’origine dell’infiammazione metabolica” prova a chiarire Ianiro. “Da una parte la disbiosi del tratto gastrointestinale, comune nell’obesità e caratterizzata da un’espansione dei ‘patobionti’ ad azione pro-infiammatoria. Dall’altra la dieta, in grado non solo di modulare il microbiota intestinale, ma anche il ‘tono’ infiammatorio. Disbiosi intestinale e dieta pro-infiammatoria possono dunque contribuire non solo all’infiammazione sistemica, ma anche a peggiorare quella del tessuto adiposo”.

“La perdita di peso, ottenuta attraverso la chirurgia bariatrica o con i farmaci anti-obesità (come gli analoghi recettoriali del Glp-1 o doppi agonisti Glp-1 e Gip)” conclude Gasbarrini “è il modo più efficace per ‘spegnere’ l’infiammazione sistemica e migliorare gli esiti a lungo termine nell’obesità. Nel frattempo, sono in rampa di lancio anche gli studi clinici sugli agonisti dell’adiponectina. Ed è importante continuare ad approfondire le ricerche sul ruolo delle diverse adipochine nelle varie patologie cardio-metaboliche, anche con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, visto che la pandemia di obesità è destinata ad aggravarsi nella prossima decade”.

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