Roma, 13 gennaio – La visita all’Ordine dei Farmacisti di Roma di Sua Eccellenza Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, è stata davvero un preziosissimo regalo, non solo per la levatura di un esponente tra i più autorevoli della Chiesa cattolica, ma soprattutto per lo scambio semplice, diretto e fecondo che l’alto prelato ha voluto instaurare con i colleghi presenti nell’occasione, in rappresentanza di tutta la nostra professione.
Chiunque abbia avuto modo di conoscere Monsignor Paglia, anche solo seguendo alcune delle sue numerose attività, sempre orientate al servizio degli altri, in particolare dei più fragili, sa che è una persona guidata da principi solidi e profondamente radicati nella sua fede cristiana. Nello specifico, Monsignor Paglia, con l’acume che lo contraddistingue, ha saputo delineare perfettamente la comune missione di prossimità sia dei pastori della Chiesa che dei farmacisti, come riferimento soprattutto per i più fragili sul territorio. Una considerazione che, ovviamente, non ha potuto che onorarci.
Con il suo straordinario bagaglio di conoscenze ed esperienze, accumulato in oltre 50 anni di vita pastorale, Monsignor Paglia esprime sempre con chiarezza e autenticità ciò in cui crede, portando a riflettere sulla missione più che attuale e valida della nostra professione: il servizio, la vocazione ad essere farmacisti.
Ha offerto una chiara testimonianza del suo pensiero durante l’incontro tenutosi presso la sede dell’Ordine lo scorso venerdì. Affrontando il tema della necessità di ripensare il sistema di assistenza sanitaria, oggi inadeguato a rispondere pienamente ai bisogni della crescente popolazione anziana, ha espresso con decisione una posizione significativa. Come da lui stesso definita, si è trattato di un’“affermazione forte”, volta a sottolineare una verità che, purtroppo, fatica a trovare piena consapevolezza, sia nella politica che nella società civile.
Secondo Mons. Paglia, “le cure più efficaci per la popolazione anziana sono quelle erogate nella prossimità, a stretto contatto con la comunità di appartenenza, e ancor meglio se garantite nel calore e nel conforto del proprio domicilio.” Ha inoltre evidenziato come questo modello, non solo auspicabile ma realizzabile, possa trovare concreta attuazione grazie alle opportunità offerte dalla telemedicina, uno strumento che può rivoluzionare l’assistenza sanitaria quando integrato con un approccio basato sulla vicinanza e sull’umanità.
Durante l’incontro, si è acceso un confronto particolarmente significativo sul futuro dell’assistenza sanitaria, con un’attenzione specifica alla necessità di riformare il sistema di cura per rispondere alle esigenze della popolazione anziana, che rappresenta la fascia prevalente e più fragile della società. In questo contesto, è stato posto un interrogativo cruciale, che riflette la preoccupazione per l’effettiva capacità delle politiche attuali di cogliere la complessità del problema e offrire soluzioni realmente efficaci: “Politica e istituzioni sono davvero convinti che la riforma dell’assistenza di prossimità, che in primo luogo dovrà rispondere alle esigenze di cura della fascia prevalente della popolazione, quella degli anziani, che sono anche coloro che hanno necessità di più cure e servizi, possa efficacemente passare attraverso l’istituzione di nuove strutture come le case di comunità aut similia?”
Non posso che essere assolutamente in linea con le considerazioni e posizioni espresse da un profondo conoscitore del mondo e delle necessità dell’assistenza come Mons. Paglia e a dimostrare quanto il mio pensiero sia concordante mi basterà ricordare la positiva sperimentazione condotta in prima persona nella Asl Roma 4 per la quale lavoro, con il progetto di presa in carico del paziente in assistenza farmaceutica diretta per il tramite delle farmacie aperte al pubblico. Una concreta espressione della radicata convinzione che la via per un’assistenza migliore non passa dalla creazione di nuove strutture, ma dalla valorizzazione organica delle risorse professionali e dei presidi – non sempre sufficientemente riconosciuti e considerati – che già insistono e operano sul territorio. Mi riferisco, ovviamente, ai medici di medicina generale, agli infermieri di comunità e – soprattutto – alle farmacie aperte al pubblico capillarmente distribuite in ogni angolo di territorio.
È legittimo chiedersi se esistano ancora resistenze o incertezze nel fare il passo decisivo verso una riforma dell’assistenza sanitaria di prossimità, come richiesto da tempo da molti professionisti del settore, al fine di rispondere in modo adeguato e sostenibile alle esigenze della popolazione. Sebbene siano stati compiuti alcuni progressi, come nel caso del percorso ancora in fase sperimentale della “farmacia dei servizi”, è altrettanto vero che non si è ancora riusciti ad attuare pienamente questa trasformazione. La difficoltà nel valorizzare il ruolo fondamentale dei professionisti sanitari sul territorio e nel sostenere concretamente il loro operato, unitamente alla creazione di nuove strutture che, a onor del vero, non incontrano pieno favore da parte di coloro che dovrebbero gestirle, dimostra quanto sia ancora lunga la strada da percorrere.
Insomma, il futuro dell’assistenza di prossimità ha bisogno di una convinta sterzata in direzione della valorizzazione di coloro che, sul territorio, rispondono ai bisogni di servizi, prestazioni e terapie (ma anche di attenzione) dei cittadini: gli mmg, gli infermieri e ovviamente i farmacisti e le farmacie.
Altro non c’è da aggiungere, perché la questione – come lo stesso mons. Paglia ci ha preziosamente ricordato – richiede soltanto che politica e istituzioni operino nella stessa direzione. Si tratta dunque di sollecitare e favorire queste scelte, necessarie, non più procrastinabili e certamente indispensabili per centrare l’obiettivo di rimettere in linea di navigazione un servizio sanitario pubblico che oscilla pericolosamente nel mare della crisi.
Per quanto riguarda noi farmacisti, possiamo solo ribadire che siamo perfettamente consapevoli di quelle che sono le necessità del sistema di salute nazionale e del contributo che possiamo dare per superarle. Abbiamo dato dimostrazioni probanti, negli anni, di saper assumere le responsabilità che ci competono e di assolverle al meglio. Ci siamo, insomma, e rispondere “presente!” è da sempre il nostro mestiere. Serve solo che, finalmente, l’appello venga fatto come si deve!
Giuseppe Guaglianone