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domenica 5 Maggio 2024
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Alzheimer, team della Columbia University scopre gene che riduce il rischio di malattia

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Roma, 22 aprile – C’è un gene che riduce il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer fino al 70%. La scoperta è stata resa nota da un articolo pubblicato sulla rivista Acta Neuropathologica lo sorso 10 aprile ed è il frutto di uno studio condotto presso la Columbia University coinvolgendo complessivamente 11mila persone.

La variante protettiva identificata dallo studio, sintetizza un lancio dell’agenzia Ansa, si trova in un gene che produce fibronectina, un componente della barriera emato-encefalica, una membrana che circonda i vasi sanguigni del cervello e controlla il movimento delle sostanze dentro e fuori dal cervello.
La scoperta della variante protettiva, che sembra dunque legata alla migliore capacità di ripulire il cervello dalle tossine attraverso la barriera emato-encefalica, supporta le crescenti prove che i vasi sanguigni del cervello giocano un ruolo importante nella malattia di Alzheimer e potrebbero aprire una nuova direzione nello sviluppo terapeutico.
“Potremmo essere in grado di sviluppare nuovi tipi di terapie che imitano l’effetto protettivo del gene per prevenire o trattare la malattia” afferma Caghan Kizil, neurologo del Taub Institute for Research on Alzheimer’s Disease and the Aging Brain della Columbia University, coordinatore dello studio che ha identificato la variante insieme ai colleghi di istituto Badri N. Vardarajan e Richard P. Mayeux.
La fibronectina è di solito presente nella barriera emato-encefalica in quantità molto limitate, ma è aumentata in grandi quantità nelle persone con Alzheimer. La variante identificata nel gene della fibronectina sembra proteggere dalla malattia impedendo l’accumulo eccessivo di fibronectina alla barriera emato-encefalica.
I ricercatori hanno confermato questa ipotesi in un modello di Alzheimer in pesci zebra e hanno altri studi in corso sui topi. Hanno anche scoperto che riducendo la fibronectina negli animali si aumentava la rimozione dell’amiloide, migliorando la malattia.
“Questi risultati ci hanno dato l’idea che una terapia mirata alla fibronectina e che imita la variante protettiva potrebbe fornire una forte difesa contro la malattia nelle persone”, afferma Richard Mayeux (nella foto).

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